Eloy si sporge dalla scala, i dreadlocks scivolano dalla bandana, la bomboletta disegna i tratti di un volto indigeno. In basso, altri 4 giovani si danno da fare: Rommer, Ronald, Javier e Wolfgang, writers venezuelani. Il murale cresce, l’arte urbana modifica contesto e percezione. Emerge la bandiera arcobaleno della nazione indigena. La storia antica e presente dell’America latina. Il grande debito contratto con i nativi durante 500 anni di oppressione. Il riscatto di una nuova indipendenza con i governi socialisti che modificano il volto del continente. Adesso Via delle Vigne Nuove, uno stradone periferico di Roma, ha perso il grigio desolato, è diventata un pezzo di Caracas, uno spicchio di mondo in cammino.

Chi sono questi ragazzi? Cosa li spinge a dipingere i muri in un assolato pomeriggio di luglio? Chi li ha invitati?

Eloy tende il logo del gruppo: una piuma sopra una stella rossa e il nome: @tiunaelfuerte. E Rommer spiega: «Siamo del collettivo Suroeste unido nel quartiere El Valle, situato all’interno del progetto culturale del parco Tiuna El Fuerte». Un quartiere popolare della capitale venezuelana in cui ha preso forma un grande spazio di riqualificazione urbana (9.977 mq) che ha messo al centro la cultura. Un progetto di arte, laboratori e comunicazione che, per le sue avveniristiche proposte architettoniche – una serie di container ristrutturati con tecnologie alternative per la costruzione, il controllo e la gestione di energia -, ha ottenuto vari riconoscimenti internazionali. Un modello di micro organismo urbano centrato – spiegano i ragazzi – «sullo sviluppo endogeno, sociale, integrale»: un «intreccio tra arte, lavoro e relazioni sociali che alimenta l’idea di una nuova società necessaria e possibile. In primo luogo a partire dalla relazione di genere: con le ragazze, abbiamo una mescolanza di idee e ruoli che funziona. Loro arrivano dove noi siamo un po’ limitati».

Un laboratorio che ha diverse repliche nelle periferie più recondite del Venezuela bolivariano: «Essere più colti per essere più liberi», recitano molti murales per le strade del paese. E, dalle piazze al Parlamento, l’insistenza sul lato «pedagogico e gramsciano» del socialismo venezuelano è costante. Tutto, però, alimentato dal precetto del Libertador Simon Bolivar, che aspirava a raggiungere «il massimo di felicità possibile» per il popolo. Per questo, il governo ha istituito persino un ministero per la Felicità: prendendo sul serio le statistiche che pongono i venezuelani tra i popoli «più felici» del pianeta. Nel parco sono attive molte “Misiones”, i piani sociali del governo dispiegati in tutti i campi del bisogno e dei diritti: dall’alimentazione, all’educazione, all’ambiente, a un diverso rapporto con gli animali (la Mision Nevado). La Mision arbol (albero), che promuove progetti educativi per la salvaguardia del territorio e per la difesa dei boschi, è una delle chiavi di proposta di Tiuna El Fuerte. Il Venezuela non è solo ricco in petrolio, ma anche in biodiversità. E ha messo al centro del suo «programma strategico» l’apporto a un nuovo modello di sviluppo basato su un diverso rapporto con la natura. Nei mesi scorsi, movimenti ambientalisti, collettivi e associazioni di quartiere hanno presentato le loro proposte al grande incontro internazionale che si è svolto sull’isola di Margarita, da portare al prossimo vertice sul cambiamento climatico.

Racconta Ronald: «Tutto è cominciato nel 2007, quando il progetto del parco culturale ci ha fatto incontrare. Prima dipingevamo ognuno per proprio conto, poi ci siamo resi conto del potenziale che avevamo se avessimo lavorato insieme, e siamo andati lontano. Abbiamo aperto un laboratorio di serigrafia, di tatuaggi, un centro di comunicazione. Attraverso l’esempio, la familiarità, il gesto artistico, aiutiamo i giovani dei quartieri poveri a scoprire i propri talenti. Se si dedicano all’Hip pop, al disegno, alla scrittura stanno lontani dalla noia, dalla droga e dalla delinquenza. Le destre demonizzano i collettivi, vorrebbero metterci in galera, ma sono queste le nostre armi. Chi è abituato a dominare il mondo, ha paura di chi realizza progetti fuori dagli schemi del potere».

Un collettivo misto di studenti, artisti, geografi, lavoratori manuali e scrittori, «organizzato in modo orizzontale. Da noi – precisa Ronald – tutto viene messo in comune, riconosciamo le necessità dei nostri simili e lavoriamo per aiutarli. Ci mettiamo di più, ma poi le cose funzionano e durano nel tempo. E’ come una costante terapia di gruppo: ci riuniamo, stabiliamo delle mete e andiamo avanti con un funzionamento a rete, con gli altri collettivi sparsi sul territorio. Quando è necessario, ci incontriamo a livello nazionale, ma senza scadenze fisse: sappiamo di procedere tutti verso lo stesso orizzonte. Il capitalismo è globale, e anche noi dobbiamo proiettarci fuori, essere moltiplicatori di messaggi alternativi. L’impero vende marche e modelli di consumo, e mette la tua vita in scatola da quando nasci a quando muori dandoti l’illusione che stai scegliendo qualcosa. Noi, attraverso l’arte di strada diffondiamo cellule di libertà per creare rivoluzione. Andiamo dai giovani e diciamo: venite a vedere, si può vivere cantando, pitturando, realizzando la propria creatività. Non lasciarti convincere che devi avere il tuo capo, orari da catena e lo sfruttamento del lavoro salariato. Possiamo realizzare un altro sogno».

Un sogno difficile senza i massicci investimenti del governo socialista per l’arte, la cultura e il lavoro giovanile… All’ultima Biennale di Venezia, il Venezuela di Nicolas Maduro ha scelto di far rappresentare il suo paese dall’arte urbana, inviando gruppi di muralistas di diversi orientamenti e pratiche. Ce ne sono in tutti i quartieri, in tutti gli angoli del paese federale: che aspira a diventare «lo Stato dei comuni e delle comuni autogestite». Anche il collettivo Tiuna El Fuerte ha avuto il viaggio pagato per essere ambasciatore di «cultura e libertà». E ha dipinto i muri di alcuni posti occupati, dal centro sociale Spartaco al Lucernario.

Qual è il rapporto dei writers con il governo? «La rivoluzione bolivariana – risponde Javier – ha creato delle grandi opportunità, consentendo anche a noi di vivere facendo quel che ci piace. Tuttavia, più che di un aiuto si tratta di riconoscimento del lavoro e della creatività della base. Noi non abbiamo bisogno di lottare per prenderci uno spazio come devono fare i centri sociali in Italia. Per rispondere efficacemente al messaggio capitalista non dobbiamo chiuderci nei nostri luoghi come in una trincea. Occorre mettersi in strada, comunicare attraverso l’arte un sentimento d’identità e d’appartenenza e rivoltare contro il sistema i suoi messaggi di oppressione e consumismo». E Wolfgang precisa: «Non partecipiamo al dibattito teorico del Partito socialista unito del Venezuela, agli schieramenti pubblici e alle battaglie di orientamento. Ci sono già tanti giovani che s’impegnano in quel campo. Traduciamo i contenuti politici attraverso i codici dell’arte. In questo modo parliamo di socialismo o di rivoluzione senza aver bisogno di nominare la parola, rivolgendoci ai più umili perché capiscano il potenziale trasformativo che hanno dentro».

Interviene ancora Eloy: «I murales sono un regalo alla comunità. Un’opera d’arte che nessuno può comprare, portarsi a casa o disquisirne nelle accademie. Dal Messico al Cile, in America latina c’è una lunga tradizione di muralistas, che si rinnova costantemente in questo periodo di rivoluzione esprimendosi sui temi della storia, della solidarietà internazionale alla Palestina… So che qui non è consentito dipingere le pareti. Ma non c’è niente di distruttivo nel nostro lavoro artistico, anzi. Quando porti a spasso il cane o stai guidando, ti arrivano inviti dai cartelloni pubblicitari. Dai murales possono arrivarne altri. E tu ci rifletti». E così, su invito del III Municipio, i ragazzi hanno dipinto anche un murale “educativo”: contro l’abuso di droghe o l’uso del cellulare alla guida e per la prevenzione degli incidenti stradali.

Davanti all’Istituto tecnico adesso c’è una piccola folla che osserva. Diverse macchine hanno rallentato per poi decidere di fermarsi a guardare: «Sono due giorni che vengo a veder crescere il murale – dice una ragazza – questa bandiera multicolore è un messaggio universale e questa è proprio una bella crew. Conosco l’arte dei graffiti. Ho chiesto anche notizie del Venezuela, da adesso in poi valuterò diversamente quel che mi arriva dalla televisione». Di fianco, un signore più anziano tiene per mano una bambina. Si è fermato per vedere «chi stava imbrattando i muri a mezzogiorno d’estate». Poi si è lasciato «incantare dall’abilità dei ragazzi». Ed è rimasto a bocca aperta quando ha saputo che riescono a vivere del proprio lavoro artistico. «Io – racconta – ho un figlio con lauree e diplomi, ma finora ha trovato solo qualche lavoretto da cameriere».