«Da domani attaccheremo la collina di Pappalures; inoltre, il campo attuale degli scavi non è ancora esaminato. Infine passeremo alla necropoli di Kekragi, in cui una intera zona non è ancora scavata. Dimenticavo di dirle che sull’acropoli ho trovato dei frammenti epigrafici, di poche lettere ciascuno Calcolo di avere ora fondi per due settimane, e cioè fino alla fine del mese La prego per mia regola personale, di sapermi dire anche, quando ne abbia notizia dal Ministero, se c’è o non c’è questo benedetto fondo». Così scriveva da Rodi, il 16 marzo del 1913, Gian Giacomo Porro – allievo della Scuola Archeologica Italiana di Atene – al suo direttore, Luigi Pernier. Erano i primissimi anni della conquista militare del Dodecaneso e, come testimoniato da un documento del 17 gennaio 1913, il responsabile (…) generale alle Antichità e Belle Arti Corrado Ricci, intercede presso i Ministeri degli Esteri e della Guerra affinché l’occupazione italiana lasci una traccia anche nei «campi del sapere». Ricci ricorre dunque alla Scuola di Atene – fondata nel 1909 e già operante sull’isola di Creta – perché vengano avviati scavi e esplorazioni nelle Sporadi.

A poco più di un secolo di distanza dalla lettera del giovane Porro – pioniere del precariato, costretto a sollecitare in continuazione disponibilità di denaro – tocca al direttore della Saia, Emanuele Greco, prendere carta e penna per rivolgersi ai due Ministeri da cui la prestigiosa istituzione dipende, il Mibact e il Miur. La sua richiesta non si discosta molto da quella fatta da Gian Giacomo Porro nel 1913: «c’è o non c’è questo benedetto fondo»? Infatti – in seguito a progressivi e feroci tagli – la dotazione finanziaria dell’anno in corso è di appena 368mila euro, cifra che non permetterà di andare oltre la fine del prossimo mese di settembre, in quanto per far fronte alle spese di base (utenze, stipendi e borse di studio) ce ne vorrebbero almeno il doppio. Senza considerare che con un finanziamento così misero non è possibile mandare avanti una delle principali attività della Scuola, proprio quella che all’inizio del XX secolo ne vide la nascita per iniziativa di Federico Halbherr: gli scavi. Suscita inoltre dispiacere l’impoverimento della biblioteca, la quale vanta un fondo di 53mila volumi, che necessita tuttavia di esser costantemente implementato per non perdere la sua funzione didattica.

Eppure la Saia è un punto di riferimento per quanti vogliano intraprendere studi e indagini archeologiche in Grecia. Unico istituto di ricerca italiano all’estero, si configura come una scuola di specializzazione post-lauream, alla quale si accede tramite un competitivo concorso pubblico; attraverso borse di studio o convenzioni con le università ospita anche dottorandi e neo-dottori di ricerca per brevi o lunghi periodi. Assolve inoltre il compito di un’«ambasciata», offrendo supporto amministrativo e scientifico alle numerose missioni archeologiche italiane nell’Ellade. La Saia stessa conduce scavi a Lemno (Egeo nord-orientale) e Sibari (Magna Grecia), e produce una rivista e una serie di monografie sui più svariati temi dell’Archeologia greca, fra i quali spicca la topografia di Atene.
La lettera di Emanuele Greco è anche un appello indirizzato alla comunità dei cittadini per un «crowdfunding culturale» che, in attesa delle risposte delle autorità competenti, possa supplire alla mancanza di risorse economiche. Il 18 aprile scorso, Dario Franceschini ha annunciato a Pompei l’imminente apertura di una nuova scuola d’eccellenza per archeologi, che dovrebbe unire il più famoso fra i siti nostrani al faro dell’antichità classica, con l’obiettivo di contribuire al rilancio di un’istituzione storica che, da Atene, arricchisce l’Italia. L’augurio è che il ministro dei Beni Culturali possa illustrare al più presto il suo progetto, magari nella sede greca della Scuola, dove l’ultima visita ufficiale di un politico risale ormai al 2008, quando l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano incontrò gli studenti nella biblioteca intitolata a Doro Levi.

Un viaggio di Franceschini nella capitale ellenica costituirebbe infatti anche l’occasione per fare il tour dell’Acropoli in compagnia di guide speciali, gli allievi della Saia, che potrebbero così dare prova delle competenze per le quali l’Italia ha investito su di loro. D’altra parte, in un paese che della resistenza ha fatto una bandiera fin dall’epoca delle invasioni persiane, s’impara ora dalla determinazione di Tsipras e Varoufakis a non voler pagare il debito delle ingiustizie. Quelle di un’Europa che distrugge troppo spesso, e sfrontatamente, gli ideali di progresso e cultura iscritti nella sua Costituzione.