Necessità di un maestro

«Per Giorgio Colli, mio padre, filosofo, morto il 6 gennaio del 1979, l’enigma della vita trovava espressione nell’immediatezza che è apparenza di un nascosto, ma si concreta anche in materia. Per lui c’era un punto d’incontro, una radice comune fra il logos razionale e la sua origine mitica, dionisiaca ed apollinea. Il Nietzsche con cui Giorgio si è confrontato alla pari, per tutta la vita, è un Nietzsche esoterico, “greco”, inattuale e antistorico, che ci indica la via che ci porta agli antichi maestri della sapienza presocratica. Le ultime parole che Giorgio appuntò sul suo diario dicevano: “… Sono in grandi difficoltà economiche. Questo però è servito a farmi accettare una grande impresa, una nuova edizione critica dei presocratici. Il cuore e la mente sono ancora giovani”. Colli stava lavorando al terzo volume della “Sapienza Greca”, quando morì all’improvviso, prematuramente. La morte fermò la sua mano su un frammento di Eraclito, quasi una testimonianza del suo modo di essere, un uomo d’azione che guerreggiò sui campi di estenuanti battaglie editoriali: “Chi non spera l’insperabile non lo scoprirà, perché è chiuso alla ricerca, e ad esso non porta nessuna strada”.» Così Marco Colli, figlio di quello che senza forzare troppo le cose si potrebbe dire uno dei più grandi maestri avuti ma troppo dimenticati, qui, in Italia – in merito, da ascoltare e vedere, il bellissimo documentario dello stesso Marco sul padre, Modi di vivere – Giorgio Colli: una conoscenza per cambiare la vita, film per la Rai del 1980 (si trova su Youtube) dove, tra l’altro, a leggere passi da libri diversi di Colli troviamo Carmelo Bene, dunque in una eccezione significativa del suo repertorio di letture televisive, dominato dalla poesia.

Ora, perché parlare di Giorgio Colli oggi? La motivazione si regge – e legge – come pure omaggio, un qualcosa di motivato dall’importanza della figura. Per necessità di brevità soffermiamoci per il momento su due questioni convergenti: l’eredità materiale (le carte) e l’eredità, per così dire, spirituale (il “dopo Colli”).

In merito al primo punto è sicuramente d’aiuto Alberto Banfi, che ha lavorato diversi anni sulle carte del filosofo: «L’attuale archivio delle carte di Giorgio Colli si è costituito attraverso il paziente e metodico lavoro del figlio Enrico che si è occupato di organizzare e indicizzare i manoscritti lasciati dal filosofo. Da questi materiali sono nate dal 1982 una serie di pubblicazioni curate per la maggior parte dallo stesso Enrico con grande acume filologico. Personalmente ho dato un contributo facendo conoscere i carteggi di Colli che si trovavano negli archivi delle case editrici Einaudi e Boringhieri e, su richiesta dello stesso Enrico, ho riordinato e catalogato oltre un migliaio di lettere di corrispondenti di Colli presenti nell’Archivio e ho realizzato il sito web dell’Archivio Colli.» Banfi racconta poi di un suo vecchio progetto, lasciato a metà ma da riprendere, una edizione delle lettere di Colli, in particolare con gli editori con cui ha collaborato. Giorgina Colli, figlia di Enrico e responsabile dell’archivio, racconta invece di come ora questo sia in fase di digitalizzazione e spostamento, con destinazione finale alla Fondazione Mondadori, Milano.

In merito al secondo punto Federica Montevecchi è certamente una delle poche voci in Italia che hanno saputo presentare la figura del filosofo con la dovuta perizia e forza. Autrice di un bel libro sul filosofo di qualche anno fa, Giorgio Colli. Biografia intellettuale, Montevecchi riflette sul senso della lezione lasciataci da Colli: «Sarebbe importante accogliere l’esortazione di Giorgio Colli a considerare la filosofia come fare, come un’azione culturale ed educativa, dunque politica, che abbia l’obiettivo di coinvolgere studiosi e lettori accomunati dal convincimento, di origine burckhardtiana, di una contrapposizione inconciliabile tra Stato e cultura: è questo il punto di partenza per ricomporre conoscenza e vita. In più agire in tal senso è, secondo Colli, il modo migliore per capire i filosofi solitari ed è, si può aggiungere, una via per riscattarli tanto dalla condanna del silenzio o della denigrazione pregiudiziale praticata nei loro confronti dalla filosofia dell’Università quanto dal rischio della venerazione emulativa e adeptica che essi possono suscitare.»

Ricominciare dalla scuola e dalla comunità

Fuori dagli ambiti universitari e accademici capita poi di scoprire il lavoro appassionato – ma anche appassionante, per tutta una serie di ragioni – di una associazione culturale come Associazione Scholé (in rete: www.filosofiaroccella.it) che, oramai da sei anni, propone una scuola estiva di alta formazione in filosofia, a Roccella Jonica (Reggio Calabria). Una scuola che quest’anno si svolge dal 19 a al 23 di luglio, con la presenza di filosofi conosciuti – per esempio, Remo Bodei e Gianni Vattimo – e la possibilità di borse di studio. E poi si tratta di una scuola dedicata a Giorgio Colli, dettaglio significativo per una iniziativa del genere. Spiega uno dei due coordinatori dell’associazione, Angelo Nizza: «Il nome di Colli è venuto fuori il secondo anno della Scuola. Dopo l’esperimento (inaspettatamente riuscito) della prima edizione, abbiamo capito che era necessaria una parola intorno a cui costruire il senso di questa esperienza: “Giorgio Colli” è venuto fuori così, mentre eravamo seduti a prendere un caffè, all’improvviso, come fosse emerso da un fondale. Lo studioso torinese, in un certo senso (almeno per noi), è il filosofo non-filosofo: non accademico, anzi anti-accademico per eccellenza, se con questo termine si intende l’uso della cultura per costruire un sistema di potere; non “festivaliero”, inattuale. Uno che scriveva poco e lavorava secondo un programma di “azione culturale”, come dice Montinari. Soprattutto uno che agiva la filosofia, ed è su questo vettore che orientiamo il nostro percorso. Il fatto che egli abbia dedicato gran parte della sua vita e ritessere la tela del pensiero occidentale secondo un altra trama, il ricorso alla scrittura come azione, convergono nel desiderio di creare una forma di comunità filosofica, culturale, sapienziale, che è esattamente quello a cui noi aspiriamo: praticare la filosofia in senso greco. Con gli incontri seminariali si crea infatti un gruppo di “compagni di pensiero” che per cinque giorni condividono il pane e la riflessione, divenendo amici.» A questo punto, per dirla con le parole di Federica Montevecchi, si tratterebbe di una «venerazione emulativa e adeptica»? Si direbbe di no, dal momento che il lavoro dell’associazione si pone proprio su un piano dell’azione culturale, nel tentativo di elaborare e migliorare un rapporto con la comunità locale ritenuto fondamentale, in un senso davvero – filosoficamente – inattuale. Spiega Alessandra Mallamo, l’altra coordinatrice dell’associazione: «Il fatto che l’Associazione Scholé sia nata a Roccella Jonica non ha niente di casuale: stiamo parlando di una comunità di 7000 abitanti in cui operano oltre 50 associazioni di varia natura, in cui esiste un centro di accoglienza per migranti dove i volontari hanno creato una ludoteca per i bambini che arrivano, in cui si fa la raccolta differenziata porta a porta. Bastano questi pochi esempi per rendersi conto che il ruolo della comunità roccellese in tutta la storia della Scuola è fondamentale, soprattutto se si tiene conto del fatto che noi non godiamo di finanziamenti pubblici. Se eroghiamo ogni anno numerose borse di studio e se possiamo organizzare un evento di tale portata con pochissime forze è perché la comunità ci sostiene fortemente: con il contributo della maggior parte delle persone, anche di chi non è direttamente interessato, a cui si aggiunge anche l’aiuto di un’amministrazione comunale lungimirante, che, in un momento di forte crisi, ha voluto inserire nel bilancio comunale un capitolo per lo sviluppo del pensiero critico.»