Erano almeno in ottomila, ieri pomeriggio a Capo Frasca, a dire no all’occupazione militare della Sardegna. Sono arrivati, in auto e in pullman, da tutte le parti della regione per chiedere la chiusura delle basi: trentamila ettari complessivi che fanno dell’isola il territorio italiano che sopporta il maggior carico di servitù (il 60% del totale nazionale). Un no forte indirizzato al ministero della Difesa, che, sulla stessa linea di tutti i governi che si sono dagli anni Cinquanta in poi, si rifiuta di accogliere la richiesta di una riduzione dei poligoni (sino a una loro completa chiusura) che dalla Sardegna arriva oggi fortissima senza distinzione di appartenenza politica.

Una grande mobilitazione di popolo, quella di ieri a Capo Frasca, con le bandiere iridate dei pacifisti di Pesa Sardigna che si mescolavano a quelle degli indipendentisti dell’Irs e di ProgReS, il movimento che ha tra i suoi leader la scrittrice Michela Murgia, anche lei tra i manifestanti. Ma c’erano anche l’Arci, Legambiente, il Wwf, i tanti comitati che nei territori si battono contro la devastazione ambientale mascherata da green economy o da energia verde, i sindaci dei paesi della costa occidentale della Sardegna, al largo della quale le compagnie petrolifere vorrebbero trivellare i fondali alla ricerca di giacimenti di greggio. C’era Renato Soru, l’ex presidente della regione, oggi eurodeputato del Pd, che durante il suo mandato riuscì a ottenere la chiusura della base della Us Navy nell’arcipelago della Maddalena. E poi tanti, tantissimi, cittadini comuni. Un fronte ampio, di movimento. Al quale si sono aggiunte, all’ultimo momento, le delegazioni di quasi tutti i partiti presenti nel consiglio regionale.

Reggerà questa unità? Le posizioni sono differenziate. Le organizzazioni indipendentiste e antimilitariste che hanno dato vita alla protesta (A manca pro s’indipendentzia, Sardigna Natzione Indipendentzia, Comitato Sardo Gettiamo le Basi, Comitato Su Giassu, Comitato Su Sentidu) puntano ad avviare un percorso che ha come sbocco il completo smantellamento di tutti i poligoni. Che le quattro sigle promotrici anche ieri abbiano detto con forza (insieme alla variegata area dei movimenti) che il loro obiettivo è la chiusura totale e immediata di tutte le basi ha un significato politico preciso.

L’obiettivo polemico è innanzitutto l’arco delle forze di centrosinistra che sostengono l’attuale governo della regione. Forze che, sulla questione basi, hanno obiettivi più gradualisti.

Un passo indietro

Per spiegare come stanno le cose, bisogna fare un passo indietro. Pochi giorni fa, durante un’esercitazione dell’aviazione tedesca a Capo Frasca, una bomba inerte sganciata da un caccia ha innescato un incendio che ha mandato in fumo trentacinque ettari di macchia mediterranea. L’episodio ha riaperto la polemica sulle servitù. E contro i giochi di guerra si è saldato un fronte molto ampio (unica eccezione, Fratelli d’Italia, schierati con i militari). Pigliaru, leader di una maggioranza che comprende Pd, Sel e varie formazioni centriste, chiede al governo la dismissione graduale di Capo Frasca e di Teulada e la riconversione ad usi di ricerca tecnologica (anche militare) del poligono di Quirra. Lo scorso giugno a Roma queste richieste sono state portate alla Conferenza nazionale sulle servitù. Ed è stato davanti al no del governo che la regione Sardegna ha deciso di non rinnovare il protocollo d’intesa con il ministero della Difesa (al contrario di ciò che invece hanno fatto i governatori del Friuli Debora Serracchiani e della Puglia Nichi Vendola), aprendo con l’esecutivo nazionale un tavolo di trattativa.
L’ultima richiesta di Pigliaru, annunciata in consiglio pochi giorni fa, è quella di un’immediata riduzione dell’estensione delle servitù sarde di settemila ettari. Come si vede, obiettivi molto più soft rispetto a quelli delle quattro organizzazioni promotrici della protesta a Capo Frasca, che chiedono invece la chiusura, subito, di tutte le zone concesse ai militari.

Sì è quindi creata, ieri, una situazione in cui a protestare c’erano, insieme, sia i fautori della dismissione immediata e completa dei poligoni sardi sia quelli, a cominciare dall’attuale giunta, che propongono un percorso lungo e graduale. Il tutto in un quadro in cui, anche per effetto dello choc emotivo creato dal rogo appiccato dai caccia tedeschi, la pressione dell’opinione pubblica contro le basi è molto forte. Non a caso l’altro ieri Pigliaru ha fatto sapere, con una nota ufficiale, che la regione si è costituita parte civile nel processo che si aprirà il 23 settembre a Lanusei e che vede sotto accusa, per disastro ambientale, i responsabili militari di Quirra.

Ma nonostante le polemiche di queste settimane e la manifestazione di ieri, due giorni fa il ministero della Difesa ha annunciato che dal 21 settembre a Teulada si ricomincia a sparare.