Tanto è ampio il dibattito attorno alla riforma della Rai, quanto sono scarni i documenti ufficiali attorno ai quali costruirsi un’opinione. Sul sito del Governo troviamo un asciutto pdf di quattro pagine, un documento programmatico intitolato «La nuova Rai». Che dedica molta attenzione al settore dell’informazione, dimenticandone però una parte importante: i programmi di approfondimento. I confini dell’offerta informativa della futura media company, «liberata» dalla politica e razionalizzata soprattutto nel settore informativo, si fermano alle testate giornalistiche, lasciando fuori lo sconfinato territorio dei talk show. Eppure proprio in quest’ennesima «anomalia» dello sviluppo dell’offerta informativa del servizio pubblico sta quel passaggio «dalla Rai dei partiti alla Rai dei professionisti» che lo stesso documento evoca. Un passaggio avvenuto già all’epoca di Tangentopoli, quando i Lerner e i Santoro costruivano le loro piazze virtuali per mettere in scena, proprio sul palcoscenico della tv di Stato, il processo alla politica che già avveniva nelle aule del Tribunale di Milano. Sotto accusa era la politica che aveva fatto della Rai l’esempio più concreto della spartizione delle risorse materiali e immateriali secondo una lottizzazione che solo in Italia ha potuto essere elevata a metodo scientifico.

Nel successivo «ventennio», l’influenza della politica sul sistema informativo si è certo esercitata sui tg – ricordiamo la campagna elettorale del 2008, l’attenzione spasmodica delle prime due reti ai casi di cronaca nera riguardanti immigrati presunti clandestini, la scelta della terza rete di effettuare un reportage nei piccoli centri del Nordest per verificare quanto la paura percepita passasse per la rappresentazione della sicurezza nel piccolo schermo. I risultati sono stati magistralmente riassunti da Antonio Di Bella per una pubblicazione dell’Osservatorio Mediamonitor Politica intitolata «Perché la sinistra ha perso le elezioni»: «Lei perché ha votato Lega?» «Per la sicurezza. Non si è più sicuri» «Dunque lei ha subito un’aggressione» «No» «Nel paese dove lei vive accadono episodi violenti legati agli immigrati» «No. Però si sente che accadono delle brutte cose». Ma i risultati della ricerca mostrano anche molto altro: lo spazio della politica si è progressivamente sovrapposto a quello della tv, e i rapporti di forza tra questi due mondi sono visibili anzitutto nell’arena del talk.

Osserviamo in un’ottica diacronica gli «eventi mediali» che hanno visto protagonista Berlusconi nelle elezioni della Seconda Repubblica «realizzata», quella che nasce nello shock del 1994 e si consolida a partire dal 2001. L’8 maggio di quell’anno Bruno Vespa trasforma il suo studio televisivo in quello di un notaio, per accogliere la firma, su una scrivania di ciliegio divenuta parte dell’immaginario politico italiano, il «Contratto con gli Italiani». Due Governi Berlusconi dopo, ecco il Cavaliere dare una scossa alla campagna sonnacchiosa del 2006 lanciando a Lucia Annunziata l’ultimatum del «mi alzo e me ne vado», creando un esempio da manuale della mutazione genetica del neo-giornalista, che pur di rivendicare il suo ruolo di professionista manda all’aria un’intervista con il presidente del consiglio. Due difficili anni di centrosinistra, ed ecco un’altra campagna elettorale, giocata su narrazioni che non potevano che trovare la loro sede ideale nel talk: quella dell’equazione del benessere rivista e corretta per salvare l’economia italiana che passava anzitutto per i destini dell’Alitalia contro quella della bella politica che tratteggiava, con eccessivo anticipo, la fine del bipolarismo.

Un nuovo scenario che solo oggi si è realizzato, nel fragile tripolarismo in cui si dibattono i «grillini» (passati da una strategia ferocemente antitelevisiva per le politiche del 2013 all’innamoramento per il talk nelle Europee 2014) e in cui trova la sua dimensione televisiva e politica Matteo Renzi. Che non si esprime solo nelle comparsate all’interno dei talent della «concorrenza», ma anche e soprattutto nella iper-presenza e nelle solide performance del capo del governo che porta avanti questa riforma. Che si esprimono nelle arene più tradizionali come Porta a Porta, nei confronti con Lucia Annunziata In mezz’ora e nelle pigre serate di Che tempo che fa. Mentre la scatola nera del talk continua a registrare ogni oscillazione nei rapporti tra tv e politica anche nella tele-piazza ordinata di Ballarò e in quella eterodossa di Virus, nel salotto iperconnesso di Agorà e in quello domenicale de L’Arena, dove il processo alla classe dirigente procede, incurante del crinale tra «vecchio» e «nuovo» su cui si gioca la dialettica politica attuale.