El mostro non si proietta alla mostra del Lido. Eppure avrebbe realisticamente regalato un rapido replay di umanità, più ancora che un quarto d’ora di memorandum sullo spettro che ammorba la laguna. Peccato. In compenso, è stato ufficialmente presentato al Festival Cinemambiente di Torino (6-11 ottobre) che a metà settembre formalizza le sue scelte.

In dodici minuti El mostro. La coraggiosa storia di Gabriele Bortolozzo rianima letteralmente lo scenario fra Venezia e Marghera scandito quotidianamente dallo «sviluppo» di tentacoli mortali. Il cortometraggio nasce da da un’idea di Cristiano Dorigo con i disegni di Lucio Schiavon, l’animazione grafica di Salvatore Restivo. La sceneggiatura è firmata da Cristiano Dorigo e Federico Fava con le musiche originali di Paki Zennaro per la regia di Salvatore Restivo e Lucio Schiavon e la produzione di studio Liz in collaborazione con Magoga e studio 3a.

È davvero un racconto epico: un uomo, un operaio, un cittadino che sfida la multinazionale della chimica. Ed è insieme la memoria viva dell’eredità di Gabriele, morto il dodici settembre 1995 a Mogliano investito mentre pedalava come d’abitudine. Soprattutto, è oggi l’ottimo antidoto alla rassegnazione di fronte al trionfo elettorale del doge Gigi (Luigi Brugnaro), il figlio della poesia in tuta blu che cassa libri gender…
«Il corto ispirato a Gabriele è stato un crowdfunding, diventando così un’occasione che ci ha rivelato quando condivisa fosse la nostra idea di rendere omaggio alla battaglia e al coraggio di questo operaio, caro a tutti ma noto solo a pochi. È facile pensare a coloro che realmente fanno la differenza come a titani solitari e sovrumani, ma quando ci accorgiamo che la sua vita non era poi così diversa dalla nostra, che la sua storia non era poi così straordinaria, vediamo chiaramente che il mondo non ha bisogno di grandi eroi eccellenti, ma di uomini dal volto comune, come il suo, come il nostro» raccontano i protagonisti di un’avventura creativa, sbocciata quasi per caso negli stessi luoghi (Marghera e Mogliano) che sembravano aver rimosso e cancellato l’impresa di Gabriele.

Anni ’70, zona industriale della laguna, «modello veneto» che fa boom anche con l’ambiente. All’epoca, però, occorreva l’intuito del pioniere e l’ostinazione della ragione per aprire la contraddizione fra lavoro e salute, imporre l’obiezione alle produzioni nocive e documentarne le conseguenze.
Cloruro di vinile monomero (Cvm): centocinquantasette operai morti e altri centotre malati; una catastrofe in laguna; l’indifferenza se non la complicità, fuori e dentro la fabbrica. Gabriele capisce subito e non ci sta. Decide di rifiutarsi di lavorare nei reparti Cvm e finirà al «confino». Indaga da solo sulle patologie dei colleghi e cura un archivio. Autodidatta anche nella raccolta di informazioni su Montedison, dati Oms, analogie con altre produzioni.                                                                                                                                                                                                                                   

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Insomma, nell’epoca del potere operaio Bortolozzo lo declina (da solo, spesso contro tutti) come lavoro cognitivo in grado di scrivere l’enciclopedia del Petrolkimico cui dovranno poi attingere medici, magistrati, manager e accademici.
Nel 1994 pubblica il fondamentale dossier che diventa l’esposto alla Procura della Repubblica: il pm Felice Casson non avrebbe mai potuto istruire il processo senza quella mole di documenti.
Evidenzia Gianfranco Bettin, ora presidente della municipalità di Marghera: «L’animazione possiede il magico potere di creare un immaginario e scavalcare le generazioni. Gabriele è stato il primo che, dall’interno della fabbrica, ha trovato il coraggio di denunciare la nocività della lavorazione e superare il ricatto di chi offriva lavoro in cambio della salute. La sua è una vicenda esemplare che va tenuta viva e raccontata a tutti, e soprattutto ai giovani». Il corto si rivela agile, efficace, azzeccato e preciso. In stop motion dipana la fabbrica nei gesti degli operai addetti alla lavorazione del Cvm: burattini appesi ad un filo con la luce del casco dentro i silos.

Si inquadra poi lo “sviluppo” immaginifico di Venezia e Marghera man mano che il mostro della chimica evolve, ma anche mentre cresce il consumismo che scava corpi e anime proprio come la fabbrica. E c’è il piccolo uomo in bicicletta, con la sciarpa al vento, che ogni giorno corre fra le braccia del mostro…

El mostro risorge con il sole e scandisce le giornate al ritmo della sirena fino a sera. Chi inizia a lavorarci dentro coltiva l’illusione di «rivoluzionare» il destino di Venezia e dell’Italia.
Cullano, badano e alimentano la Grande Fabbrica che si specchia in laguna. È il progresso formato Cvm, il riscatto generazionale attraverso il lavoro, l’aristocrazia operaia che si fa stato di benessere. Ma ogni giorno, per settimane, in decenni il paesaggio che cambia è anche il tratto dei tentacoli che stritoleranno vite, famiglie, sogni. Lo sterrato si asfalta, mentre i fumi intossicano. Le auto si incolonnano, quando ormai si respira aria di morte. I capannoni si moltiplicano, insieme ai fili da burattini. El mostro è merce di scambio: salario per una cambiale in bianco su salute, ambiente, territorio.

La Venezia-cartolina (ma anche la «rigenerazione» di Marghera con il vetrocemento o la succursale dell’Expo) in 12 minuti devono fare i conti con l’altra faccia della medaglia.
Perché se Gabriele ha avuto la dignità di non piegare la testa, rimane sempre sussidiaria la mostruosa logica del profitto che ora attanaglia Venezia con le Grandi Navi, il Mose, l’urbanistica della Save o i mega-progetti del Porto.

Una ragione in più per proiettare El mostro in occasione dei vent’anni dalla morte di Bortolozzo.

Tutto è cominciato – allora in fabbrica come oggi fra giovani creativi – dalla consapevolezza che occorre fare qualcosa contro l’indifferenza complice. Il corto «adagia la tragedia del delitto sottaciuto dell’industrializzazione veneziana».
E chi ha abitato laguna, terraferma, zona industriale nell’arco di trent’ anni può capire fino in fondo cos’ha significato il Cvm sul ponte della libertà.

Tutti gli altri non possono più chiudere gli occhi sulle mostruosità del presente…