Il labirinto della parola: questo il libro bello e importante di Simone Beta, dedicato a Enigmi, oracoli e sogni nella cultura antica (Einaudi «Saggi», pp. 347, euro 32,00). Il sottotitolo segnala i tre campi di indagine seguiti dall’autore in un’opera – sia detto senza blasfemia – che appare una e trina. Un punto forte del libro sta proprio nel portare alla luce le intersezioni e le convergenze fra ambiti che noi moderni, di primo acchito, saremmo portati a ritenere nettamente separati, ma che per la mente degli antichi rispondono invece a schemi affini. Sogni e oracoli si presentano in forme enigmatiche e assolvono a funzioni simili in diversi campi: rivelano entrambi ai mortali ansiosi il volere degli dèi, per esempio, e nelle mani di un narratore sapiente, a partire da Erodoto, si prestano in egual misura a diventare formidabili chiavi di volta del racconto.
Il rimando al labirinto è appropriato non solo perché gli enigmi sono progettati per confondere e depistare l’ingegno del solutore, ma anche perché il libro stesso di Beta è a suo modo labirintico, senza una mappa che, in forma di introduzione, spieghi al lettore quali saranno i percorsi e i risultati di una ricerca estesa ad ambiti in apparenza diversissimi: per citarne alcuni alla rinfusa, si passa dagli indovinelli assurdi studiati da Roman Jacobson ai ‘segni’ enigmatici del discorso eracliteo, dalla ‘isopsefia’ (equivalenza fra parole diverse legata al valore numerico attribuito alle lettere greche) ai sogni terapeutici inviati – naturalmente in forma enigmatica – da Asclepio nel santuario di Pergamo. È forte la tentazione di inseguire a piacere, deviando dalla sequenza proposta, gli argomenti in apparenza disparati dei sedici capitoli, ma questo porterebbe in effetti a perdersi nel labirinto senza trovare il tesoro. In un lavoro la cui logica emerge un poco alla volta, il filo di Arianna non può che essere la lettura lineare, da cima a fondo, apertamente caldeggiata del resto dall’autore, che in più occasioni ricorre ad anticipazioni o rimandi retrospettivi.
Beta gioca con il lettore, muovendosi agilmente fra lo stile dimostrativo proprio di un saggio ‘scientifico’ (non manca un utile apparato di note) e forme più accattivanti di affabulazione, come avviene ad esempio quando nel ripercorrere un indovinello antico ne ritarda la soluzione interpellando direttamente il lettore («difficile?» … «Non basta?» «La soluzione dovrebbe essere ormai chiara»). La lettura risulta divertente e istruttiva, e senza dubbio si consiglia sia a un pubblico di classicisti – molti dei testi battuti sono poco noti, oppure ricevono nuova luce dall’analisi dell’autore – sia al lettore curioso, che potrà contare su una scrittura sempre limpida e scorrevole. Semmai si potrebbe obiettare – se proprio si vuol muovere una critica – che serio e faceto non sono distinti e ripartiti in modo immediatamente chiaro: il lettore curioso rischia di perdersi nei molti ambiti spazio-temporali in cui viene condotto e di perdere in prospettiva storica, mentre l’esperto in cerca di novità ‘scientifiche’ può forse provare impazienza nel seguire un percorso divertente sì, ma certo non breve e spesso apertamente digressivo. Si tratta, per fortuna, di inezie, che nulla tolgono ai pregi e alle grazie di un libro pieno di continue e gradite sorprese. Così griphos, termine greco per ‘enigma’, reca anche il significato più concreto di ‘rete’, un elemento che riemerge nello Stico di Plauto, quando il parassita Gelasimo propone iunctiones Graecas sudatorias, cioè intrecci greci che fanno sudare, ardui indovinelli per l’appunto. Ancora: in una commedia del IV secolo a.C., la poetessa Saffo si presenta nella veste inedita di enigmista, quando propone un indovinello che ruota attorno a «un essere femminile che protegge nel grembo i suoi piccoli», i quali a loro volta sono privi di voce ma «lanciano un grido che raggiunge gli uomini in terre lontane», e questi ultimi possono «sentire anche se non sono presenti». L’essere misterioso è l’epistola, e i piccoli sono le singole lettere, a un tempo mute e parlanti.
Molti altri esempi si potrebbero fare, ma quel che preme qui notare sono le implicazioni profonde che si celano dietro una facies lieve e giocosa: il griphos-rete prelude ai nodi della dialettica confutatoria praticata dai sofisti, che non lascia scampo all’avversario e ricorre a tecniche simili oltre che a simili immagini venatorie. A sua volta – ed è questo un punto che nel libro riveste una particolare importanza – l’indovinello di Saffo segnala una tensione fra cultura orale e scritta, in un momento in cui la seconda prendeva il sopravvento sulla prima: molti indovinelli legati alle lettere dell’alfabeto riflettono bene la nuova percezione della composizione poetica come opera scritta, fino al punto che, nella tarda antichità, «gli indovinelli sono diventati un gioco che parte dalla letteratura e rimane confinato al suo interno». Lo studio degli enigmi, insomma, contribuisce fra l’altro a gettare luce nuova su questioni di ampia portata.
Ci si può almeno chiedere se e in che misura gli enigmi antichi, fondati su meccanismi costanti ben lumeggiati dall’autore, siano specifici della cultura greco-romana. Con opportuni rimandi ad Aristotele, Beta mostra bene come rapporti metaforici fra termini lontani sono alla base di molti indovinelli, fra gli altri di quello – attribuito al celebre ‘enigmista’ Cleobulo di Rodi – che allude all’anno solare per mezzo di espressioni come «uno è il padre, i figli dodici» e così via. In proposito, Beta osserva che «questa struttura tutto sommato semplice fa comprendere facilmente come mai indovinelli simili si trovino anche in altre culture distanti nel tempo e nello spazio: c’è chi ha citato alcuni paralleli tedeschi, mentre altri hanno ricordato un indovinello indiano. Ma l’indovinello di Cleobulo non è l’unica attestazione di un simile enigma nel mondo greco». Il saggio procede quindi per analogie che poggiano su strutture apparentemente invarianti nel tempo, e così più avanti leggiamo che «con Petronio abbiamo fatto un salto non solo geografico, dalla Grecia a Roma, ma anche cronologico, passando dal teatro ateniese alla Roma imperiale. Ma anche se torniamo in Grecia, in periodi probabilmente ancora diversi, le cose non cambiano».
Dovremmo allora concludere che lo studio degli enigmi non ci dice nulla di specifico sulla civiltà greca o romana? Certo che no, e lo vedrà bene chi leggerà dalla prima all’ultima pagina: la stessa ricchezza della ricerca dimostra la pervasività, nel mondo greco-romano, dell’enigma, che struttura e permea di sé quasi ogni aspetto del pensiero e del quotidiano. Soprattutto, emergono con evidenza crescente le sovrapposizioni. Il capitolo «Gli oracoli del mito» si sofferma sulla vicenda di Deucalione e Pirra nel racconto ovidiano: l’oracolo della dea Temi li esorta a «gettare dietro le spalle le ossa della grande madre». Di che si tratta? Deucalione intuirà la soluzione: l’oracolo è in effetti un enigma, e le ossa delle grande madre sono pietre, che i due, soli sopravvissuti al diluvio universale, estraggono dalla madre-terra per lanciarsele alle spalle e creare così una nuova generazione di uomini. Molto prima di Ovidio, Erodoto aveva raccontato l’inquietante visione notturna di Ippia, il figlio del tiranno ateniese Pisistrato: prima di tentare il ritorno ad Atene dall’esilio, aveva sognato di unirsi con la madre. Ma Ippia non è un novello Edipo: da esperto interprete di oracoli, intuisce subito che la madre è la terra, la sua terra. Enigmi, oracoli e sogni formano un insieme solidale, e verso la fine del libro la sovrapposizione si fa del tutto esplicita proprio con Erodoto: nelle Storie Beta scopre una «stretta parentela tra sogno e oracoli», naturalmente nel segno dell’enigma. In forme avvincenti e mai banali, il libro assolve così a una promessa formulata fin dal secondo capitolo: «la letteratura cela … nelle sue pieghe enigmi che aspettano ancora di essere risolti».