Gli argomenti a favore del No al referendum del 4 dicembre si sprecano. Di quelli di ordine giuridico-costituzionale il manifesto rende puntualmente conto. Ed essi basterebbero. Ma se ne aggiungono altri, ogni giorno più pesanti, di natura politica.
Limitiamoci a quanto accaduto in questi ultimi giorni.

1. Gli sponsor. Tutti i sostenitori della «riforma» sono custodi dell’oligarchia neoliberale. La Merkel e Obama (con il suo grazioso ambasciatore a Roma); JP Morgan e Lehman Brothers; l’Ocse, il Fmi e l’ad di Fiat-Chrysler. Si tratta di sprovveduti che parlano a vanvera o di gente che sa che tra gli effetti della grande trasformazione vi sarebbe una maggior docilità del sistema politico italiano ai loro diktat?
Da ultimo si è espresso il commissario Moscovici: diamo flessibilità all’Italia per sostenere le «riforme» di Renzi minacciate dai populismi. Non si cerca più di nascondere il pasticcio tra interessi politici e ragioni istituzionali, trasformando la politica in un suk (proprio come fa da sempre Renzi con gli 80 euro e le quattordicesime, il ponte sullo Stretto e il bonus famiglie). Ma che cos’è tutto ciò se non la replica del mortificante copione delle pressioni statunitensi su un parente povero d’oltreoceano?

2. La Rai. L’occupazione militare del servizio pubblico produce ogni giorno i suoi effetti, e non è che l’inizio. Chi segue notiziari e trasmissioni di infotainment ha un documento vivente di che cosa ci toccherebbe qualora Renzi vincesse la sua scommessa decisiva, che non ha bisogno di essere drammatizzata: è di per sé drammatica. Se gli riuscisse la madre di tutte le sue truffe, Renzi instaurerebbe un potere personale privo di contrappesi. I media controllati dal governo lavorano già a pieno ritmo a questo scopo, conseguito il quale si trasformerebbero stabilmente in una soffocante cappa orwelliana.

3. Infine, proprio le truffe, sempre più vergognose, del governo e del suo capo. «Ora o mai più» è il nuovo mantra renziano. Perché mai? Intanto, la Costituzione è già stata (bene o male) modificata più volte negli ultimi 15 anni. Poi è semmai vero il contrario: se passa questa «riforma» non ci saranno più per lungo tempo le condizioni per opportune revisioni. Ma Renzi punta soprattutto su un’altra menzogna. Sostiene che non sono in discussione né lui né il suo governo né, per il momento, la legge elettorale. Su questa che è la bugia più velenosa bisogna appuntare l’attenzione.
Occorre in primo luogo ribadire che, giunte le cose a questo punto, il referendum coinvolge direttamente le sorti del governo. È emerso da ultimo che molti tra coloro che pure apprezzano la «riforma» intendono votare No pur di mandare a casa Renzi. Si ripete insomma il copione delle recenti amministrative, quando qualche candidato del Pd al ballottaggio chiese al premier di astenersi dall’intervenire in suo sostegno, visto che faceva solo perdere voti. La figura di Renzi è sempre meno popolare, sempre più sgradita. Di qui il tentativo di spersonalizzare il referendum. Ma non c’è nulla di vero in questa manovra: la «riforma» nasce da Renzi e per Renzi, dal suo imbarazzante narcisismo e per la sua incontenibile smania di potere.

Quanto al nesso con l’Italicum, una cosa va finalmente chiarita con la dovuta forza: legge elettorale e modifiche costituzionali non sono che due momenti di un’unica operazione politica volta a trasformare surrettiziamente la forma di governo. Per questo tutte le promesse di cambiare l’Italicum sono prese in giro. Del resto ancora da ultimo Renzi ha ripetuto lo slogan della legge elettorale perfetta che assicura di conoscere la composizione del governo la sera stessa delle elezioni. Per abrogare l’Italicum c’è quindi solo una via: battere Renzi il 4 dicembre e costringerlo a gettare la spugna.

Questa evidenza chiama in causa le minoranze interne del Pd e il loro senso di responsabilità. Il referendum offre alla cosiddetta sinistra democratica l’ultima occasione di riscattarsi dopo anni di inconcludenza. Bersani e i suoi non cadano nella trappola della commissione escogitata da Renzi nella Direzione del partito e tengano fermo il No a quella che è in sé non una discutibile riforma della Costituzione, ma un disegno eversivo. Proporre uno scambio tra il Sì al referendum e qualche modifica all’Italicum non è solo incredibilmente ingenuo, visto che la tempistica riserva a Renzi pieni poteri in caso di vittoria del Sì. È anche sbagliato sul piano etico e politico. Non si dovrebbe mercanteggiare (per qualche inconfessabile fine) con le leggi, men che meno con la Carta costituzionale. Ed è evidente che nessuna eventuale modifica della legge elettorale potrebbe trasformare in una riforma accettabile quello che è di per sé un pericoloso stravolgimento della Costituzione.