Sommerso da una marea di critiche per l’atteggiamento di chiusura totale nei confronti di chi, del tutto fuor di metafora, è sommerso dal Mediterraneo, schiacciato sotto le ruote dell’Eurotunnel, o segregato in stile postnazista nell’Europa orientale, David Cameron si è finalmente lasciato magnanimamente scappare che «qualche migliaio» di migranti dal Medio Oriente saranno accolti dalla Gran Bretagna, lo stesso paese che per secoli giocò a ridisegnarne i confini, alterarne gli equilibri, sostituirne i leader e bombardarne il territorio.

Ci è voluta quell’immagine innominabile sulla spiaggia turca, che ha obbligato «la comunità internazionale» a guardarsi allo specchio e vederci qualcosa di peggio dell’immagine di Dorian Gray a far scattare attorno al doverosamente abbronzato primo ministro un’operazione di PR volta a minimizzare i danni catastrofici creati dal niet finora testardamente opposto a una maggiore partecipazione del paese allo sforzo comune di accoglienza. Ma anche una petizione lanciata dal quotidiano Independent (da cinque anni di proprietà d’un oligarca russo) perché il paese reagisca di fronte alla peggiore crisi umanitaria dalla Seconda guerra mondiale, e che ha in poco tempo superato di tre volte il quorum di 100 mila adesioni necessario a portare la questione in parlamento.

Il rifiuto di Cameron, lo ricordiamo, riguarda la partecipazione del Regno Unito al programma d’emergenza dell’Ue di sistemazione per 40 mila profughi attualmente presenti in Italia e Grecia entro i prossimi due anni. Parlando in occasione di una visita in Portogallo, ha sottolineato che i pochi fortunati a trovare la via della salvezza britannica saranno solo i «più bisognosi» tra i quattro milioni di profughi siriani attualmente presenti nei campi dell’Onu in Libano e in Giordania. Ha sottolineato come il Regno Unito sia il più munifico donatore di aiuti dopo gli Stati Uniti, sfoderato un rotolo di 100 milioni di sterline come contributo alle enormi spese da affrontare, ma è chiaro che gli ordini di grandezza che il suo governo ha in mente fanno il solletico al problema.

Le persone da aiutare devono, dovranno essere molte di più: nell’ordine delle decine di migliaia perché l’operazione umanitaria abbia una minima incidenza. L’Onu ha parlato di una media per paese europeo di 200 mila accoglienze come soglia minima. In tutta risposta, Cameron intende ampliare l’operazione Vulnerable Persons Relocation (Vpr), finora attiva in Siria. Presenta un macchinoso sistema di accertamento dello status di rifugiato che abiliti all’ottenimento dell’asilo, che ora dovrà essere necessariamente snellito: il richiedente non solo deve essere in fuga dalla propria casa, ma anche essere stato vittima di tortura o violenza sessuale, o essere troppo anziano o disabile per sopravvivere nei campi. Dal 2014 sono solo 216 i rifugiati siriani che ne hanno beneficiato. Verrà poi estesa la facoltà di restare nel paese da uno a cinque anni. Ma poiché la responsabilità organizzativa circa l’ospitalità è demandata ai singoli capoluoghi – le cui finanze sono quasi prosciugate dalla cura equina inflitta al settore pubblico dal governo – non sorprende che siano state finora poche le città a farsi avanti.

Il premier ha infine intonato il refrain della lotta agli scafisti, seguendo il prontuario della destra moderata alla voce relativa. Un atteggiamento in linea fedelissima con il precedente rifiuto di fornire aiuti all’operazione Mare Nostrum, nel nome della considerazione che aprire la porta oggi a una persona bisognosa ne porterà automaticamente mille altre a sfondarla domani. Lo hanno definito «fattore traino».

Da sempre rifugio per i perseguitati di mezza Europa e del mondo, la Gran Bretagna di David Cameron pare davvero chiudersi in un isolamento opaco. Le assordanti fanfare governative sulla crescitina economica del paese lo trascinano sempre più lontano dal resto del continente. Ora è la cosiddetta società civile la sola che può redimerne il cuore incallito.