In Danimarca un bambino su dieci nasce da donne single per inseminazione artificiale. Il più delle volte queste donne – dell’età media di 36 anni – non sono omosessuali. Ricorrono all’inseminazione dopo esperienze deludenti con uomini che non se la sentono di avere figli.

I figli possono crescere senza padre, è la tesi con cui difendono la loro scelta, facendosi forza dei tanti esempi di donne che per cause diverse (vedovanza, divorzio o gravidanza non programmata) sono state costrette a crescere i loro bambini da sole. La tesi e corretta, a condizione che la madre di un figlio senza padre per scelta si mantenga viva come donna e metta il suo bambino in rapporto con un oggetto reale o potenziale del suo desiderio. Non è facile saperlo (col rischio di cadere nella compiacenza o nel pregiudizio nei suoi confronti): la rivendicazione di un genuino interesse erotico per l’uomo, che è stato frustrato, tuttavia, da risposte deludenti, seppure fatta in buona fede, potrebbe ignorare una resistenza inconscia al coinvolgimento profondo.

L’esperienza clinica dimostra che la maternità priva di desiderio erotico verso un partner adulto, preclude anche un coinvolgimento reale nei confronti del figlio ed è la causa principale del malessere psichico individuale. La madre sostituisce l’apertura erotica alla vita con l’annessione del suo bambino al suo spazio psichico. Colma in questo modo, annullandolo, lo spazio femminile d’attesa dentro di sé, che vive come precario, a rischio di crollo, e si chiude nell’illusione di un’autarchia tanto più ostinata quanto più disperata. Il figlio o la figlia restano impigliati in un dilemma impossibile: se compiacciono la madre, sono annientati nella loro soggettività e se la contraddicono, la mettono in crisi irreversibilmente. Quando si sentono vivi temono che la madre morirà e devono inibire la vita che è in loro. Oscillano tra la paura di una perdita catastrofica dell’altro e la sofferenza per la propria rinuncia a vivere veramente.

Tutto questo non accade in famiglie con genitori omosessuali o madri single, ma nelle famiglie “normali” con genitori eterosessuali. È infinitamente più frequente che una madre isolata, slegata dall’eros, si costituisca attraverso un legame eterosessuale piuttosto che in assenza di un uomo supposto padre. La crescita progressiva delle madri intenzionalmente sole, fa, tuttavia, saltare il coperchio: dà visibilità, per chi non chiude gli occhi, alla solitudine della donna che, coperta da una convenzionale eterosessualità che non è sessualità, rende la maternità un guscio vuoto. Forse le madri single esprimono un’estrema determinazione della donna a fare del figlio il proprio destino, forse arrivano alla maternità senza tradire il loro desiderio erotico, dopo aver invano cercato un interlocutore vero. Le due prospettive sono indissociabili, descrivono l’isolamento della donna.

L’idea che sia il padre a evaporare (Lacan) si fonda su un’illusione ottica: il padre di cui si proclama il lutto è stato storicamente una figura normativa, rappresentativa di un equilibrio instabile tra relazioni di desiderio e rapporti di potere. La rottura dell’equilibrio a favore del potere, porta il padre normativo, da sempre sovrapposto al padre soggetto del desiderio, verso il suo compimento in un ideale astratto e tirannico, incarnabile da entrambi i sessi. L’astrazione/condensazione progressiva del corpo maschile in un principio di puro funzionamento meccanico di eccitazione/scarica, che lo priva della sua carnalità, fa evaporare il desiderio femminile in tutti noi. L’uomo si difende assentandosi da sé, la donna resta sola.