Tra il vero Godard, Image et parole e la sua «imitazione», la vita del regista nel Sessantotto, ai tempi di La Chinoise di Hazanavicius, preferisco JLG, l’unico – non bastano un paio di occhiali con montatura scura sul naso di Louis Garrel per restituirlo. E non certo per snobismo o prevenzione (pure se The Artist era troppo una melassa) – il primo tra l’altro sembra che non sarà pronto nemmeno in primavera per il prossimo festival di Cannes…. Il fatto è che pochi come JLG riescono dopo tanto cinema a spiazzare a ogni nuovo appuntamento sé stessi e chi guarda. E con quella dissacrazione intelligente – che nulla c’entra con il grido rancoroso degli «arrabbiati» a tutti i costi – capace di denudare ipocrisie del linguaggio e degli immaginari coi quali, quasi sempre, coincidono quelle della realtà.

 

 

Questi due estremi – è un gioco – dividono le attese per l’anno che verrà. Cosa mi (ci) piacerebbe vedere nel 2017 che in tanti, con un po’ di superstizione aspettano viste le scomparse illustri e le catastrofi – politiche, sociali, economiche – dell’anno che si sta chiudendo?

Abbiamo provato a immaginare una possibile trama tra l’America di Trump, l’Europa, il mondo. Ci sono poi i desideri «privati», che so? Che un grande regista come Bela Tarr torni al cinema anche se è da ammirare per la lucidità con cui ha lasciato la macchina da presa di fronte alla (probabile) consapevolezza di non avere nulla da dire, o almeno di non riuscire a farlo con i mezzi utilizzati sino a allora scegliendo di partire dall’Ungheria di Orban, che in breve ha smantellato la cultura, per Sarajevo dove ha avviato una scuola di cinema aperta al mondo.

 

 

Oppure il nuovo di film di Miguel Gomes, l’autore di Le mille e una notte – che è solo agli inizi – lo girerà in Brasile, da Os Sertoes di Euclides da Cunha .O anche un possibile nuovo lavoro di Apichatpong Weerasethakul… E ancora i Nos voyages en Russie di Angela Ricchi Lucchi e Yervant Gianikian, le avanguardie artistiche distrutte dal potere, lo stalinismo, narrate attraverso incontri, conversazione, archivi a cui che i due magnifici artisti sanno sempre restituire la lingua del presente. L’intrusa di Leonardo di Costanzo, l’Italia di oggi fuori dai luoghi comuni. L’esordio di una giovane regista, Basma Alsharif, Ouroboros (prodotto da Eyal Sivan), un film sulla Palestina in cui la vita nei Territori viene ripresa dai droni.
La «distopia» vero/falso Godard si diceva. Ecco sono quegli artisti, nel cinema come altrove, che la realtà non la assecondano seguendo i riti della convenienza ma riescono a capovolgerne l’immagine. Sarebbe bello riscoprire il prossimo anno la libertà di trattare soggetti importanti senza l’ansia del politicamente corretto – che ingabbia il pensiero – la sensualità, un po’ di irriverenza e di spudoratezza. Contro l’abitudine di una «buona coscienza» che permette di digerire tutto.