Si arretra ma non si desiste. A pochi giorni dall’evacuazione del campo di Idomeni, muta la geografia degli insediamenti migranti a ridosso del confine con la Macedonia, ma non la tenacia di chi vuole proseguire il cammino per l’Europa seguendo la rotta balcanica. La speranza di poter oltrepassare la frontiera chiusa si è spostata qualche chilometro più indietro, nella regione di Kilkis e in prossimità del centro urbano di Policastro, dove almeno 2.500 persone hanno trovato riparo in alcuni accampamenti spontanei, oltre agli altri tre noti di Hotel Hara, BP ed Eko Station.

Sono quelli che mancano all’appello dopo i 6mila trasferimenti effettuati la settimana scorsa da Idomeni verso i campi ex-novo, almeno 7, allestiti nella zona industriale intorno a Salonicco. Sono quelli che nei siti ufficiali non hanno alcuna intenzione di andare, soprattutto a causa delle pessime condizioni di vivibilità cui è arrivata loro voce. Di fronte a questa nuova situazione i media greci parlano di una nuova Idomeni sebbene, a ben vedere, poco le somigli. Si tratta semmai di uno scenario postumo, più frammentato e di diversa composizione, con una visibile maggioranza di persone proveniente dall’Afghanistan e dal Pakistan, per lo più uomini, che si spostano da soli o in gruppo.

Tra questi vi è Nomi, ha tentato di superare il confine attraverso le montagne già un paio di volte, senza successo. Proverà di nuovo, assicura mentre si mette in fila per la colazione che i volontari continuano a distribuire ogni mattina all’Hotel Hara. Irremovibile anche il connazionale Kumran. «Ho vissuto a Madrid fino al 2007», racconta in un ottimo spagnolo, «sono tornato a casa quando è morto mio padre ma nel frattempo il mio permesso di soggiorno era scaduto e non sono più riuscito a rientrare. Ora sono intrappolato qui da tre mesi». «Vogliamo andare avanti, non tornare indietro», taglia corto Sharin, una giovane ragazza di Aleppo. Se molti altri siriani hanno preferito trasferirsi nei campi governativi nella speranza di uscire da una situazione di stallo mediante la nuova procedura di pre-registrazione che sarà avviata a breve, di spostarsi da vicino il confine lei e la sua famiglia, un nucleo di 12 persone in tutto, per ora non ne vogliono sapere.

Così come non li sfiora l’idea di affidarsi ai canali dei trafficanti. Un mercato che, nello scenario post-Idomeni, ha visto intanto quasi decuplicare i prezzi. «Ci chiedono 2.500 euro ciascuno, prima erano solo 300. Non ci rimane che attendere e provare di nuovo a passare».
L’attesa però rischia di essere più breve del previsto. Lo sgombero di questi ultimi avamposti di confine sembra infatti imminente. Doveva partire ieri, ma le strutture di accoglienza non sono ancora pronte e si procederà appena possibile. Forse già da domani. Se non bastasse il via vai di polizia in borghese mandata nella zona a monitorare la situazione, a confermare la prossima evacuazione è stato ieri lo stesso vice-ministro per la Protezione del Cittadino, Nikos Toskas. La sua nota ufficiale si aggiunge alle parole del Ministro per le politiche migratorie, Giorgos Musalas, nel corso della visita effettuata domenica a Idomeni per ringraziare la popolazione locale. «Non vi sarà alcuna replica di quanto accaduto negli ultimi tre mesi. Procederemo con lo smantellamento degli insediamenti informali sorti qui intorno e tutto avverrà in maniera pacifica», ha assicurato.

Le organizzazioni umanitarie attive nella Grecia settentrionale denunciano intanto sia le modalità con cui si è svolto il trasferimento dal campo sia le pessime condizioni dei nuovi siti di destinazione. «Al di sotto degli standard minimi», secondo Unhcr, che esorta le autorità greche a trovare rapidamente migliori alternative».

Gli fa eco Medici Senza Frontiere, che parla di «un movimento forzato di persone» al quale si è proceduto «nella totale mancanza d’informazioni e con l’imposizione di gravi restrizioni in materia di assistenza umanitaria». Dello stesso tenore la denuncia di Save The Children, che ha espresso «seria preoccupazione per i bambini rifugiati e le loro famiglie, per i quali mancano i servizi base adeguati quali cibo, acqua e bagni«. «Dai sopralluoghi che abbiamo effettuato non possiamo che confermare la criticità delle condizioni di questi nuovi siti», aggiunge Arianna Zaccagnini, capomissione della Ong italiana Intersos, da due mesi attiva nei campi della Macedonia centrale. «In generale la macchina degli aiuti si sta muovendo, seppur con estrema lentezza. È una situazione complicata e per certi versi paradossale, perché parliamo di appena 50mila persone a fronte di un impegno economico comunitario non indifferente».

Nella fattispecie, solo nell’ultimo mese, parliamo di 56milioni di euro di fondi di emergenza assegnati dalla Commissione europea per migliorare le condizioni dei rifugiati e dei migranti in Grecia. A quest’ultimo stanziamento vanno sommati altri 25milioni accordati il 24 maggio scorso dall’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (Eao) al fine di implementare il nuovo programma di pre-registrazione e delle successive procedure di ricollocazione.