Nella campagna referendaria per il voto sulla riforma costituzionale del 4 dicembre la manifestazione del «No Renzi Day» che si è tenuta a Roma, all’indomani della sciopero generale dei sindacati di base, ha aperto un nuovo capitolo. I 40 mila che hanno sfilato, secondo gli organizzatori, da piazza San Giovanni a Campo de’ Fiori hanno voluto dimostrare che la consultazione referendaria non è solo uno scontro nel Pd, tra la minoranza della «ditta» di Bersani, il battitore libero D’Alema e la maggioranza del «rottamatore» Renzi.

L’obiettivo del corteo era rappresentare l’esistenza di un popolo del «No sociale», in carne ed ossa, che si muove in un campo politico più largo a sinistra e fuori dal «centro-sinistra» di vecchio o futuribile conio. Un «No sociale» che si aggiunge a quello basato sui contenuti costituzionali della contesa e si basa sull’opposizione al Jobs Act, alla «Buona Scuola» o alle politiche dei bonus con le quali il governo Renzi ha supplito all’incapacità di riformare il Welfare o rilanciare la domanda interna. A questa idea si ispirerà un’altra manifestazione convocata il 27 novembre dai movimenti sociali a Roma: «C’è chi dice No». Una prospettiva evocata anche dagli studenti che hanno manifestato il 7 ottobre scorso contro la «Buona Scuola».
Ogni corteo ha la sua scenografia che va interpretata. Quello di ieri era composta da spezzoni rappresentativi di vertenze lavorative, ad esempio la Natuzzi, o di posizioni politiche. In coda c’erano i partiti della sinistra, da Rifondazione al partito comunista dei lavoratori e altre sigle che si richiamano al comunismo. La maggioranza dei manifestanti era composta dagli iscritti all’Usb, con sfoggio di bandiere e striscioni dei settori pubblici e privati. C’erano i movimenti sociali e sindacati (la casa con Asia-Cub), i Sans Papiers e rifugiati (Cispm), ad esempio. Centinaia di migranti – lavoratori, rifugiati – hanno sfilato per ore con cartelli sulla libertà di movimento e i diritti fondamentali, dietro uno striscione con lo slogan «Schiavi Mai» e parole di condanna contro tutte le forme di precarietà, dai voucher al lavoro nero. Sullo striscione dei rifugiati somali, la richiesta del permesso di soggiorno era accompagnata da quella al welfare e al lavoro. Una rappresentazione efficace di quello che gli organizzatori del «No sociale» intendono per «socializzazione» della consultazione referendaria.

Alla testa del corteo, aperto dallo striscione «No alla controriforma, no al governo Renzi», è stato ripetuto instancabilmente il nome di Abd Elsalam, l’operaio e delegato sindacale Usb ucciso da un tir durante una manifestazione sindacale a Piacenza il 14 settembre scorso. Piazza San Giovanni è stata ribattezzata alla sua memoria, per le 36 ore dell’«acampada». Un’enorme striscione è rimasto appeso a un lampione, sopra i gazebo dove si sono svolti i dibattiti sul referendum costituzionale, sul lavoro autonomo e un’assemblea con i lavoratori della logistica. «Il suo nome significa “servitore della pace” – è stato detto dal camion in testa al corteo – Abd Elsalam è stato ucciso mentre lottava per i diritti del lavoro degli altri». Una storia, tragica ed esemplare del cambiamento in atto dei valori e della composizione sociale, e nazionale, della forza lavoro, anche nel settore della logistica.

L’impegno del coordinamento per il «No sociale» è portare la critica della riforma costituzionale nei luoghi di lavoro. Per loro il «No» può vincere se esiste una comprensione larga e popolare delle sue ragioni. La sfida è difficile. A disposizione di Renzi ci sono media e Tv per creare il consenso. La strategia del «No sociale» è al momento incoraggiata dai sondaggi, come quello dell’Ipsos, che ha registrato negli ultimi giorni un distacco di 8 punti percentuali dal «Sì». La strada è lunga e la si vuole percorrere «dal basso». Una strategia che venerdì scorso ha permesso ai sindacati di base (Usb, Adl e Si Cobas, Unicobas e Usi, Cub trasporti Lazio) di mobilitare 1,3 milioni di lavoratori che hanno aderito al loro sciopero generale.