Il Mecklenburg-Vorpommern è un Land della Repubblica federale tedesca di dimensioni medie, sesto per superficie su 16 Länder e uno degli ultimi per popolazione: poco più di un milione e mezzo di abitanti. Ma è anche il distretto elettorale di Angela Merkel, che nelle elezioni del settembre 2016 vi ha rimediato una bruciante sconfitta: la Cdu è risultata terza con il 19% dei voti, dopo la Spd (30%) e soprattutto dopo il partito xenofobo Alternative für Deutschland (21%). Gran parte degli osservatori, con la parziale eccezione del quotidiano tedesco di sinistra Tageszeitung, hanno attribuito esclusivamente la sconfitta al rifiuto della politica dell’accoglienza dei rifugiati siriani, voluta da Merkel nell’agosto 2015.

L’aspetto interessante della questione è che nel Meclenburgo i rifugiati sono pochissimi, meno di 5000, a fronte del milione e più entrati in Germania dall’agosto 2015. Né vi si sono manifestati particolari problemi con gli stranieri, a differenza di Colonia durante il famigerato capodanno del 2015. Come spiegare allora il travaso di voti dalla Cdu all’Afd? È vero che in Meclenburgo la disoccupazione è il doppio della media tedesca (9,2%, contro il 4,5%). Ma resta il fatto che la trasformazione di un malcontento sociale in xenofobia è ancora da spiegare. In ogni caso, qualcosa del genere è successo anche in Inghilterra con il Brexit. Benché l’afflusso di profughi siriani e migranti non abbia toccato il Regno Unito, la difesa dagli stranieri è stato il ritornello ossessivo di Boris Johnson e di Farage. Che cosa succede in Europa?

Modi della realtà

Una spiegazione possibile è che una parte dell’opinione pubblica, in Germania e Inghilterra (per non parlare della Francia), non reagisce a fenomeni reali o percepiti empiricamente, ma a una sorta di «spirale delle grida» dovuta in gran parte, inevitabilmente, ai media e al sistema politico. Il problema non sono mai i migranti o i profughi reali, che per lo più vivono nell’ombra, nei centri di vario tipo e nascosti in quartieri periferici. No, il problema è il singolo fatto di cronaca attribuito agli stranieri (molestie in pubblico, furti o quello che si vuole) che diventa indicatore di tutta la realtà di profughi e migranti. Nella sua crescita esponenziale, la spirale non si alimenta solo ai singoli fatti percepiti come generali, ma anche a quelli contigui o considerati tali.
L’allarme immigrazione trascina con sé quelli dell’intolleranza islamica, del velo, del burkini e, sullo sfondo di tutti, del terrorismo. Nel caso del Meclenburgo e del successo di Afd, questa classica paranoia a cascata si innesta sull’ostilità di lunga data per gli altri, i mediterranei, i latini, gli spreconi: Afd è nato da una costola della Cdu su posizioni liberali di destra, ostile agli «aiuti» (cioè alla flessibilità di bilancio) dei paesi come l’Italia e la Grecia. In seguito, gli elementi xenofobi, con Frauke Petry in testa, hanno preso il sopravvento cacciando i fondatori. Il risentimento economico, arginato a destra dalle politiche di rigore di Merkel e Schäuble, ha trovato il suo sfogo naturale nella più facile delle direzioni, quella della xenofobia (è più o meno lo stesso percorso di Farage, Le Pen e della Lega)
La realtà dell’immigrazione corrisponde alla spirale delle grida? Per cominciare, anche se la distinzione tra profughi e migranti economici è del tutto arbitraria e frutto di decisioni ad hoc (perché i siriani sarebbero profughi e gli iracheni o gli afghani no?), il punto è che un numero enorme di stranieri fugge da zone di guerra e dalla possibilità concreta di morire sotto le bombe o in un attentato. Aprendo le porte ai siriani nel 2015, Merkel, in virtù di fattori ancora oggi imponderabili (come la sua formazione evangelica, la consapevolezza del passato tedesco, l’aspirazione alla leadership europea e – perché no? – considerazioni legate all’invecchiamento della popolazione), ha di fatto riconosciuto una corresponsabilità europea oggettiva verso gli altri mondi.

Ecco in realtà il motivo dell’avversione per Merkel di una parte del suo elettorato. E anche delle riserve degli altri leader, da Cameron a Hollande. Gli europei non vogliono occuparsi, se non occasionalmente, di quello che succede nei due continenti stremati dalla fame e dalla guerra, l’Africa e l’Asia. Certo, possono bombardare qua e là, a seconda delle circostanze (e delle opportunità elettorali), come in Libia, Iraq e Siria, ma guai ad andare alle radici dei conflitti politici ed economici che causano migrazioni e fughe. Il passo indietro di Merkel, con il famigerato accordo con Erdogan sul ritorno dei profughi in Turchia, segna proprio la vittoria del principio della «difesa della patria» contro ogni altra considerazione strategica. Ed ecco i muri o le barriere di filo spinato che spuntano in Ungheria al confine con la Serbia, in Macedonia al confine con la Grecia, in Norvegia al confine con la Russia e, buon ultimo, quello fatto costruire dall’Inghilterra a Calais (alla faccia dell’orgoglio nazionale francese).

Servono a qualcosa questi muri, al di là del supposto effetto di rassicurazione che dovrebbero avere sull’opinione pubblica? La risposta è del tutto negativa. A onta del muro fatto costruire nell’autunno del 2015, l’Ungheria ha circa 1.800 richieste di asilo ogni 100.000 abitanti, la proporzione più alta in Europa. Anche i muri marini servono a poco. Il sostanziale fallimento di Frontex e delle altre imprese europee di contenimento (come Triton) dimostra l’impossibilità di controllare le migliaia di miglia delle frontiere orientali d’Europa e delle coste che vanno da Istanbul a Tangeri. Si costruiranno nuovi muri, forse si sparerà ai profughi che scavalcano le barriere (come ha chiesto l’Afd di Frauke Petry), e certamente altre migliaia di migranti moriranno di freddo lungo la rotta balcanica o annegati nel canale di Sicilia (più di 3500 nel solo 2016).
Al netto delle migrazioni interne alla Ue e dei ritorni in patria, si valuta che un milione di extra-europei provenienti da Asia e Africa siano comunque entrati nel 2016 in Europa. Ovvero un cinquecentesimo della popolazione della Ue (poco più di 500 milioni di abitanti). Se si aggiunge questo dato ai non europei già residenti, circa 30 milioni, non aumenta di molto la media del 6% di immigrati sulla popolazione europea. Se questa è un’invasione…

E quindi si torna al panico dell’opinione pubblica (anche se minoritaria) intorno a un fatto immaginario, almeno in termini demografici. L’ostilità che ne consegue è ovviamente sfruttata dai partiti populisti e movimenti di destra, ancora all’opposizione in Europa occidentale e al governo in Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca. Si tratta di un meccanismo al tempo stesso mitologico e autopoietico (si alimenta da sé) che permette a quei partiti e movimenti di gonfiare il consenso, ma che difficilmente li porterà al governo in Francia e Germania. Probabilmente Marine Le Pen non vincerebbe al ballottaggio alle presidenziali in Francia e Afd, anche se sfondasse il muro del 20 % (nazionale), non potrebbe costituire una vera minaccia per Merkel, esattamente come la Lega per Renzi (il caso del M5s è diverso, sia perché sulla questione dei migranti è diviso, sia perché raccoglie istanze di sinistra). Insomma, nonostante il panico alimentato dai media su un’ondata populista, è probabile che i moderati di centro-sinistra e di centro-destra continueranno a spartirsi il potere in Europa.

Sottoboschi precari

Ma quella che non cambia è la sofferenza degli stranieri che, per qualsiasi motivo (guerra, povertà, volontà di migliorare le proprie condizioni) partono per l’Europa: vessati da stati cani da guardia (come la Turchia), dalle milizie libiche, abbandonati sulle isole greche, bastonati in Ungheria, salvati a stento nel Mediterraneo (quando ce la fanno); per poi essere additati in mezza Europa come pericoli per l’ordine pubblico o la libertà dei costumi, fatti languire in Cie e Cara e sfruttati nel sottobosco del lavoro precario. Così, per l’ottusità di gran parte dei governi europei e per l’ostilità di una minoranza della popolazione, milioni di esseri umani privi di protezione continueranno a sopravvivere ai margini della società opulenta. È proprio questa nuove fascia di esclusi la novità esplosiva dell’inizio del terzo millennio.