Lo scorso agosto ho attraversato la Puglia, da nord a sud, visitando molte chiese romaniche e barocche di cui abbonda. Al di là della loro bellezza e della storia che raccontano, mi hanno colpito i matrimoni che vi si celebrano. Ne ho incrociati più lì in venti giorni che in tutta la mia vita. Al sud, si sa, ci si sposa in chiesa molto più che al nord e si ha ancora il gusto per la cerimonia fastosa, con annessi e connessi.

 
Da Trani a Leuca, passando per Troia, Siponto, Bari, Andria, Bitonto, Altamura, Ruvo, Canosa, Otranto, Gallipoli, Lecce, è stato tutto uno sposarsi. Abbiamo visto matrimoni a ogni ora, di mattina e pomeriggio, dal martedì alla domenica. Nella basilica di San Nicola a Bari, per esempio, mentre nella cripta un pullman di russe pregava e piangeva per un’ora sulle spoglie del martire, di sopra c’era tutto un via vai di preparativi fastosi. Siccome i matrimoni erano due in una mattina, gli addetti agli addobbi e i fioristi hanno dovuto rispettare una rigorosa tabella di marcia che consiste in: stendere la passatoia (che ogni sposa vuole naturalmente coordinata con l’abito e pulita), addobbare con i fiori (che ogni coppia vuole diversi e così è tutto un togli e metti) far accomodare i musicisti, spingere i fotografi a sbrigarsi alla fine della cerimonia, chiudere il portone appena la sposa è uscita per far entrare meno riso possibile, riassettare e ricominciare tutto da capo. Un addetto a sovrintendere tutto questo traffico mi ha detto che in estate non c’è un giorno di calma e che: «Se una volta si evitavano giorni poco fausti come il venerdì, oggi non ci fa più caso nessuno e di venerdì facciamo anche quattro sposalizi».

 
I parenti e gli amici di solito si dividono in due parti: i più intimi e non fumatori restano in chiesa fino a cerimonia finita, i meno religiosi e fumatori, soprattutto uomini, ridono e chiacchierano sul sagrato e non vedono l’ora che la sposa esca per cominciare la festa. Dopo il rito, gli invitati si mettono in coda davanti all’altare per omaggiare la coppia neonata. A Troia, finito questo saluto, ho visto la sposa passarsi una mano sulla fronte, sbuffare e poi mormorare fra sé e sé: «Oh. È andata!» e non credo che si riferisse al fatto che aveva trovato marito, ma che finalmente poteva slacciarsi un poco il bustino.

 
Un capitolo a sé richiedono le toilette delle invitate che il più delle volte fanno a gara a chi si fa notare di più.
A Trani ho visto signore in lungo, gonne a palloncino, tute, spacchi, scollature e nei più svariati colori: verde smeraldo, rosa cipria, blu cobalto, champagne, giallo, oro dalla testa ai piedi, con bigiotteria da far concorrenza a un luna park, sandali in tinta e tacchi impossibili. Nessuna riusciva a camminare con agio sulla pietra del sagrato. A Canosa c’era una testimone di nozze che sembrava vestita da trapezista tanto era corta la gonna, profonda la scollatura e trasparente il vestito. Ma la mia preferita è stata la suocera di Siponto: in crèpe nero, bianco e lustrini, spillona e orecchini a forma di foglia luminescente, acconciatura a mongolfiera rosso mogano, trucco alla Moira Orfei. Per non sciupare l’insieme aveva dato la borsetta (una simil Vuitton e non si capisce perché) al marito, cosa che ho visto fare spesso e che trovo terrificante, soprattutto per l’allure del marito.
Quasi sempre, le figure meno abbaglianti sono state le spose, troppo spesso annegate dentro eccessi di tulle, costrette in bustini mal modellati o sovraccarichi, mortificate da acconciature indurenti, sminuite da pizzi sintetici. Se si vuole sembrare una principessa, mai travestirsi da principessa delle favole perché, soprattutto per gli abiti, quel che non si domina ammazza.

mariangela.mianiti@gmail.com