«Renzi? Era una risorsa tre anni fa, e lo sarebbe ancora oggi se avesse vinto il sì. Ma com’è andata lo sappiamo». A dirlo è il sindaco di Bologna Virginio Merola. Il democratico prende parola dopo la notte referendaria, quando ormai è evidente a tutti come il fortino del Pd sia ridotto ai minimi termini. Fedeli alla linea solo l’Emilia e la Toscana, mentre tutto il resto d’Italia ha girato le spalle alla riforma costituzionale Renzi-Boschi, e di conseguenza al premier stesso. A Bologna la disciplina di partito ha prevalso col 52% di voti per il Sì, con il No rimasto 9 mila voti più indietro. Il dato bolognese conferma, dice il sindaco, «che in città c’è storicamente una maggioranza riformista, e che il ceto medio non è stato colpito dalla crisi come successo altrove».
Quello che manca al Pd non è la tenuta in terra emiliana, anche se nelle provincie di Piacenza e Parma ha prevalso il No, ma una strategia nazionale per affrontare la «situazione caotica». E così il sindaco di Bologna rilancia a livello nazionale ciò che aveva già proposto da tempo a livello locale: la costituzione di Nuovo Ulivo. Un’idea che se avesse vinto il Sì sarebbe morta nella culla, ma che ora, dopo le annunciate dimissioni di Renzi e il caos nel Partito democratico, potrebbe assumere qualche consistenza. Il 19 dicembre la prova generale, con il previsto arrivo sotto le Due Torri dell’ex sindaco di Milano Pisapia, del sindaco di Cagliari Zedda, dei democratici Cuperlo e Gozi, del dirigente dem De Maria, a Bologna di casa, e del sindaco di Bari nonché presidente dell’Anci Decaro.

Il progetto è ambizioso, e vuole «trovare una strada nuova e rinnovata per il centro sinistra italiano». Per farlo Merola vuole «rilanciare una prospettiva diversa e unitaria», radunando in città «tutti quelli che sono interessati a portare avanti un’ipotesi di centro sinistra unito, di governo, capace di mettere al centro la lotta alle diseguaglianze, capace di dare una prospettiva ai giovani». L’idea camminare su un crinale scivolosissimo, e c’è da capire quanto percorribile: ricostruire il Pd, lanciare una nuova classe dirigente nel partito («di cui io non farò parte»), rivedere il progetto del centrosinistra «senza tornare al vecchio», partendo da un dato di fatto: quello del Pd autosufficiente, risultato referendario alla mano, «è ormai un mito».
Per Merola è la seconda richiesta di svolta negli ultimi tre anni. Nel 2013, il giorno dopo la non vittoria di Bersani alle elezioni politiche, si affidò alla stella di Renzi chiedendo «il rinnovamento del gruppo dirigente». Un’altra epoca politica. Oggi il sindaco chiede una svolta a sinistra, anche alla luce dei dati sui flussi elettorali che dicono due cose. Primo: un elettore Pd su tre a Bologna ha scelto, dopo aver votato Bersani nel 2013, di non seguire Renzi nella sua strada di rinnovamento a tutti i costi passando dalla Costituzione. Secondo: a votare No sono stati i più poveri e i più giovani. La svolta indicata da Merola non sarà facile da seguire per il partitone, con la sua inerzia e la sua classe dirigente saldamente renziana. «Il 19 dicembre sarò molto concentrato sul Pd» dice lontanissimo il segretario regionale del Pd Calvano. «La sinistra del No è stata il principale avversario politico», dichiara la senatrice Pd Francesca Puglisi, bolognese come i tanti elettori del Pd che nella sua città hanno votato No. «Siamo di fronte – continua – al passato che torna e alla sinistra che ha fatto cadere Romano Prodi perché era troppo democristiano». Il professore avrebbe invece incoraggiato l’iniziativa di Merola, ribadendo, ha specificato il sindaco, di essersi ritirato dalla politica.