Se il buongiorno si vede dal mattino, la Terza repubblica sarà uno sfacelo. Il dibattito parlamentare che dovrebbe dare alla luce la sua legge fondativa, la riforma della Costituzione, si svolge in un clima peggio di come non si può. Alla fine, dopo un’altra giornata senza neppure un voto, la conferenza dei capigruppo decide di andare avanti a oltranza a partire da lunedì prossimo: aula dalle 9 alle 24, sabato e domenica inclusi. A sopresa, però, Forza italia si pronuncia e vota contro il calendario.

Per approvare, tra urla e proteste, il nuovo calendario, peraltro, l’aula impiega un paio d’ore: colpa, o merito, dell’ostruzionismo dei senatori pentastellati, ognuno dei quali propone un diverso calendario alternativo e si prende il tempo concesso dal regolamento per illustrare la proposta. Alla fine il calendario “a passo di carica” viene approvato, ma nessuno si illude che basti a raggiungere il risultato che Renzi pretende a tutti i costi, la prima approvazione della sua riforma prima della pausa estiva.

Non sarà sufficiente neppure se sommato al previsto “canguramento”, l’applicazione cioè della regola per cui la bocciatura di un emendamento si porta dietro la cancellazione di tutti quelli simili. La somma passerebbe così da 8 a 5mila emendamenti. Restano un’enormità. Quando chiedono a Roberto Calderoli, il più esperto in materia, se pensa che il governo ce la farà entro la prima metà di agosto quello risponde secco: «E’ più facile che si voti in novembre». La forzatura di ieri non sarà dunque l’ultima. Il contingentamento dei tempi è dietro l’angolo, e non è neppure detto che basti. Per quanto inconcepibile sia in una riforma costituzionale, la tentazione di ricorrere alla ghigliottina c’è tutta.

E’ la degna conclusione di una giornata iniziata malissimo. Il governo non tratta su nulla, neppure sulle richieste più ragionevoli e condivise da un’amplissima e trasversale parte del Senato. Renzi non vuol solo fare di corsa. Vuole anche fare del tutto a modo suo. Non è una riforma della Costituzione: è una prova di forza, un esercizio d’autorità. Anzi del peggior autoritarismo che si sia visto in Italia da decenni. Di ritorno dall’Africa, l’emulo di Fanfani detta la linea dura: «Avanti a testa alta e viso aperto», dice. E poi, su Facebook: «C’è chi con l’ostruzionismo prova a bloccare l’Italia. Avanti senza paura». Il sottosegretario Pizzetti, in rara prova di analfabetismo istituzionale, va persino oltre e in un’intervista quasi annuncia la ghigliottina, che «non sarebbe uno scandalo», poi esclude che ci possa essere il voto segreto su nessun emendamento. Come se la faccenda riguardasse il governo e non il Parlamento.

Ma andare avanti, con o senza paura, non è facile. Passano le ore, e la riforma avanza di centimetri. I senatori illustrano la grandinata di emendamenti, dieci minuti per ciascuno. Il capogruppo Pd Zanda fa due conti: di questo passo non basterà l’intero 2014. Imperversa la voce di una imminente richiesta di ricorso alla ghigliottina, anche se in realtà Renzi aveva già deciso lunedì di non passare alle maniere fortissime prima della settimana prossima. Il boato sembra però prendere corpo quando il presidente Grasso convoca per il primo pomeriggio la conferenza dei capigruppo e subito dopo lo stesso Zanda, sulla scorta dell’entrata in campo a gamba tesa di Napolitano, chiede un intervento drastico sui tempi: «Abbiamo già discusso 50 ore!».

Ma l’umore dell’aula non è rassicurante. Non c’è solo Loredana De Petris (Sel), che gli rinfaccia il voltafaccia rispetto a quando la riforma era firmata Berlusconi e di fatto gli dà a muso duro del “riciclato”. Non è solo il M5S, che replica citando ampiamente il discorso di Angius, Ds, ai tempi della succitata riforma Berlusconi. La Lega suggerisce di prendere tempo e riflettere bene. Anche Fi suggerisce una mediazione e persino il capogruppo dell’Ncd Sacconi invoca «un’iniziativa politica di Renzi». In concreto l’avvio di una trattativa volta a migliorare il testo della riforma.

Niente da fare. Nella lunghissima conferenza dei capigruppo la ministra Boschi non si scosta dalla linea rigida già adottata in commissione. La riforma deve passare così com’è. Non solo non ci sono spiragli sull’elezione diretta dei senatori, ma, almeno per ora, neppure sullo scandaloso innalzamento delle firme necessarie per indire referendum abrogativi o proporre leggi di iniziativa popolare. Perché Matteo Renzi non deve riformare. Deve vincere.

Da lunedì prossimo, dunque, il Senato sarà riunito in seduta permanente fino all’8 agosto. La principale paura del governo è qualche voto segreto. Grasso avrebbe già garantito a Renzi che non ne concederà alcuno, ma De Petris gioca d’anticipo: «Non accetteremo che si ignorino i regolamenti del Senato per compiacere il governo».