A distanza di oltre un lustro dall’esplosione della crisi si sente ancora parlare di regolamentazione finanziaria. Da Basilea 1 siamo arrivati a Basilea 3 e c’è chi parla di provvedimenti che costituirebbero la nuova Basilea 4. La regolamentazione proviene da più parti e spesso i provvedimenti sembrano intrecciarsi, sovrapporsi, a volte contraddirsi. Come se nel medesimo incontro sportivo assistessimo all’ingresso di sempre nuovi arbitri decisi a far rispettare le proprie regole, creando confusione tra i giocatori (ma non tra i più esperti e i più bravi, come si vedrà) e sconcerto nel pubblico.

Il provvedimento più corposo nell’Unione europea è costituito dall’Unione bancaria e dal principio secondo cui diventerebbe impossibile l’azzardo morale, cioè quella logica del troppo grandi per fallire che nei momenti di crisi si trasforma in un esborso pubblico a garanzia dell’intera impalcatura finanziaria. Lo strumento è il cosiddetto «bail in» che entrerà in vigore nel 2016 e che farà pagare le perdite di una banca ai suoi creditori, una sorta di salvataggio interno. I criteri di partecipazione al salvataggio da parte dei clienti delle banche passano attraverso un crescente coinvolgimento delle varie figure di investitori, escludendo solo i semplici depositanti.

Con il rischio di addossare identiche responsabilità di scelta sui propri investimenti ai piccoli come ai grandi. Poi, se non bastasse, si passerebbe ai fondi interbancari predisposti appositamente, ma se anche questi non fossero sufficienti si tornerebbe a bussare alla solita e tradizionale porta. Come sostiene l’esperto di credito Francesco Vella «si fa di tutto per non arrivarci, ma alla fine è sempre il popolo a dover salvare le banche». Ipotesi remota se i dissesti riguardano i pesci piccoli, ma che diventa più concreta quando coinvolge i pescecani che hanno ruoli sistemici.

A proposito di pesci grandi, è notizia di questi giorni la proposta di regolamentazione che il Financial Stability Board avanzerà al prossimo G20 che si terrà in Turchia per le 30 principali banche a livello globale, tra cui l’italiana Unicredit. Anche in questo caso l’obiettivo dichiarato è quello di evitare la possibilità di assorbire le perdite ricevendo aiuti pubblici. Le nuove regole richiederanno maggiori riserve di capitale e dunque maggiori sforzi per gli azionisti. La richiesta di maggiore patrimonializzazione non sarà rapportata all’intero bilancio, ma solo al cosiddetto Rwa, cioè gli attivi ponderati per il rischio, i quali sono solitamente più alti per le banche a trazione commerciale piuttosto che per le banche d’affari, ricche di investimenti finanziari. Secondo questa logica per le 30 più grandi banche del globo fornire mutui a imprese e cittadini è considerato più rischioso che operare nei mercati dei derivati o in altri prodotti simili dell’attuale ingegneria finanziaria. Questa impostazione fa sì che il rischio contabilizzato per Unicredit sia identico a quello di Deutsche Bank, sebbene quest’ultima abbia un bilancio totale doppio di quello della banca italiana. Dalle prime stime, inoltre, risulterebbe che la gran parte di queste banche abbiano già raggiunto gli obiettivi di sicurezza o vi siano molto vicine e per quelle che ancora arrancano, come quelle cinesi, è prevista una lunga proroga fino al 2028.

Nonostante la congenita natura ritardataria della regolamentazione finanziaria l’impressione è che di fronte ai problemi posti dalla crisi di questi anni la risposta sia, nel migliore dei casi, del tutto sottodimensionata e, nel peggiore, fuorviante. Come ha affermato il compianto Luciano Gallino nel suo ultimo libro questa regolazione «equivale all’idea di fare un lavaggio, per rimetterla in strada, a un’automobile cui è scoppiato il motore».