Il commissario britannico, Jonathan Hill, ha presentato ieri a Juncker le dimissioni dall’importante incarico di responsabile dei servizi finanziari (dopo il Brexit erano state subito sollevate questioni di conflitto di interesse). Saranno operative dalla mezzanotte del 15 luglio. Nel frattempo, è sostituito provvisoriamente dal commissario Valdis Dombrovskis. David Cameron però dovrà trovare un successore, con il coraggio di occupare un posto scomodo (è stato evocato il nome di Boris Johnson ma è già proposto per sostituire direttamente Cameron).

Gli ex partner europei ieri hanno aumentato le pressioni su Londra perché acceleri il processo di uscita. L’intenzione è evitare il «contagio», mentre in vari paesi cresce la richiesta dei partiti anti-europei (a cominciare da Olanda, Danimarca, Austria, Francia), che rischia di essere fomentata se l’incertezza dura troppo a lungo.

A Berlino una riunione dei sei ministri degli Esteri dei paesi fondatori, su invito di Frank-Walter Steinmeier (Jean-Marc Ayrault per la Francia, Bert Koenders per l’Olanda, Didier Reynders per il Belgio, Jean Asselborn per il Lussemburgo e l’italiano Paolo Gentiloni).

Steinmeier ha auspicato che il processo di divorzio venga iniziato «il più presto possibile». Per Ayrault, Londra deve «nominare in fretta un nuovo primo ministro», non aspettare ottobre, come ha annunciato David Cameron: «L’urgenza è il rispetto dell’articolo 50, non c’è nessuna ragione di giocare al gatto e al topo». Per il ministro francese è «una questione di rispetto e di interessi», voi «avete fatto la vostra scelta ma l’Europa che vogliamo, anche se bisogna migliorarla, trasformarla, essere ancora più efficaci, vogliamo farla vivere», pur rispettando «la Gran Bretagna e il voto di un popolo, che è un grande popolo».

In un comunicato, i 6 si rivolgono a Londra: «Aspettiamo adesso dal governo britannico che dia prova di chiarezza e che applichi la decisione appena possibile», pur dispiaciuti per «la perdita di uno stato membro, ma anche di una storia, di una tradizione, di un’esperienza».

Per Steinmeier, «non permetteremo a nessuno di rubarci l’Europa». Il presidente dell’Europarlamento, Martin Schultz, in un’intervista ha definito «scandaloso» il ritardo annunciato da Cameron nella presentazione della domanda di uscita e ha accusato la Gran Bretagna di «prendere tutto un continente in ostaggio».

Anche Jean-Claude Juncker ha chiesto «immediatamente» la domanda di uscita, «non è un divorzio consensuale – ha commentato – del resto non era neppure una grande relazione amorosa». François Hollande vuole «un’uscita in buon ordine». Per il presidente francese adesso bisogna «ridare un senso» all’Europa.

La Ue in un primo tempo mette al muro la Gran Bretagna, che ha risposto alla domanda: «Fuori o dentro all’Europa» e in una seconda mossa cerca una risposta su «quale Europa», che non riguarda più i britannici (i quali però giocano la carta del ritardo, l’unica che gli è rimasta in mano).

Francia e Germania hanno preparato un documento di lavoro comune, che sarà sottoposto al Consiglio europeo del 28-29 giugno e discusso all’incontro a Berlino, lunedì, tra Angela Merkel, François Hollande e Matteo Renzi (che ieri sera ha avuto una cena informale con Hollande all’Eliseo). Al centro c’è un’Europa «flessibile», a geometria variabile (che in realtà già esiste, nell’euro siamo in 19, non tutti sono in Schengen, ecc.).

L’idea è concentrarsi su alcuni temi: investimenti per crescita e occupazione, armonizzazione fiscale e sociale, rafforzamento della zona euro e della governance economica. Rafforzamento delle frontiere esterne, insiste Hollande.

E alla riunione dei 6 ministri degli Esteri, l’italiano Paolo Gentiloni, aggiunge: risposta sull’immigrazione (al Consiglio verrà discussa la proposta italiana sull’Africa).

È l’elenco di tutte le piaghe aperte della Ue, di tutti i blocchi e contro-blocchi che l’hanno paralizzata e hanno portato al Brexit. Steinmeier ammette: «Dopo lo choc del referendum, capirete che non abbiamo ancora le risposte alle molte domande aperte».

Bruxelles ha nominato il diplomatico belga Didier Seeuws (ex capo di gabinetto del presidente del Consiglio Ue Herman van Rompuy) come capo negoziatore della «Brexit Task Force».