Parlare di «stelle» a proposito della legge istitutiva degli organi collegiali della scuola è indubbiamente una forzatura, avendo ciascuno di noi ben presenti i limiti che incepparono sul nascere il funzionamento autonomo di questi organismi. Limiti non casuali.

Ma la qualifica di «stella» la merita all’interno di quella Legge 477/1973 l’articolo relativo allo stato giuridico del personale. «La modalità di valutazione del servizio non riferibile comunque a un periodo superiore al triennio cui dovrà provvedere solo su richiesta dell’interessato un apposito comitato eletto dal Collegio dei docenti previa relazione del capo d’Istituto. Non si dà luogo a note di qualifica».

Via in un sol colpo le discriminazioni tra i docenti, clientelismi e acquiescenza a direttori e presidi, competizione tra colleghi. Via le note di qualifica, i concorsi per merito distinto. In una parola l’idea che nella scuola, dove i protagonisti sono insieme docenti e alunn*, entrambi soggetti viventi, ben altro dalla merce prodotta in azienda, si possa configurare una «carriera». Rileggere oggi quell’articolo fa una certa impressione.

Sarebbe interessante ripercorrere i verbali del lungo dibattito nelle commissioni. Da chi era formata quella maggioranza? Governi a guida Rumor, Andreotti, Rumor, alternanze tra monocolore Dc e di coalizione Dc-Psi-Psdi-Pri. Il Pci non aveva ancora compiuto il grande balzo con Berlinguer, esploso nel paese proprio grazie all’affermazione dei valori della sinistra nella partecipazione democratica all’interno delle scuole.

Negli anni successivi l’ossessione della valutazione proseguì con andamento carsico. Il luogo comune che la scuola avrebbe perso qualità se non si fosse escogitato un sistema per «valutare» la prestazione dei docenti «sul campo» non si assopì mai. Furono tentate vie traverse: incentivazioni, l’istituzione di figure con responsabilità particolari, riconoscimenti. Si pensò di demandare tutto a una valutazione del sistema scolastico nazionale, ma la disposizione contenuta nell’art.4 della legge 477 non fu mai stravolta.

Questo sta ora avvenendo col ddl in discussione al Senato.

L’ossessione della valutazione come strumento nelle mani del dirigente da impiegare a tappeto contraddice la legge citata e insieme l’articolo 33 della Costituzione. Gli art. 11 e 13 del ddl «buona scuola» disciplinano la valutazione del personale docente per «la valorizzazione del merito» sulla base di criteri individuati da un comitato per la valutazione (?). Da qui nasce il nostro giudizio di incostituzionalità e quindi di inaccettabilità di questo ddl che ha sollevato nel mondo della scuola una protesta di dimensioni mai viste. Ritornerebbero potenziati dalla triennalizzazione dei contratti quei fantasmi esorcizzati dalla legge 477, l’instabilità dei docenti non proni, competizione tra colleghi, rivalità tra genitori, la stessa chiamata diretta dall’Albo territoriale, sia pure edulcorata nei termini e nei tempi, del capo d’istituto, ha la sua radice nell’idea di merito che permea il Piano dell’offerta formativa ispirato dallo stesso «capo».

Altri aspetti di incostituzionalità sono certamente i finanziamenti alle scuole private paritarie e gli sgravi fiscali ai loro frequentatori, con l’indebolimento del già esiguo potere degli Organi collegiali. La strada era stata preparata da Luigi Berlinguer, Moratti, Fioroni, Gelmini.

È invece proprio farina del sacco del premier e dei suoi collaboratori/trici lo stravolgimento dell’ordine costituzionale operato dal marchingegno della «valorizzazione del merito».

Se verrà votata la fiducia, rischiamo di finire davvero nelle stalle…