Siamo ormai a pochi giorni dal secondo anniversario dei referendum del 12-13 giugno 2011 sull’acqua pubblica, i servizi pubblici e il ricorso al nucleare. Ha dunque un senso tracciare un bilancio di cosa è successo da quella vittoria: in rispetto ai due referendum sull’acqua pubblica, prendendoli come elementi paradigmatici dell’insieme di quella vicenda. È ormai evidente come i poteri economici e un largo schieramento politico, abbiano lavorato per contrastarli apertamente.

Ha iniziato l’allora governo Berlusconi, quando nell’ agosto 2011, passato poco più di un mese dalla vittoria referendaria, ha riproposto la stessa normativa abrogata dai referendum con riferimento all’insieme dei servizi pubblici, ad esclusione di quello idrico, con una palese violazione del loro esito, come ha sottolineato la Corte Costituzionale un anno dopo. Ha poi continuato il governo Monti con una legislazione volta a frapporre pesanti ostacoli per rendere difficoltosa la gestione del servizio idrico tramite soggetti di diritto pubblico. Né ci tranquillizzano le intenzioni del nuovo governo che non si è ancora espresso esplicitamente in proposito, ma che fa grande professione di fede europeista, nel momento in cui tra le raccomandazioni che ci provengono da Bruxelles se ne trova anche una, la sesta, che, muovendo dall’assunto che «a seguito della sentenza della Corte Costituzionale del luglio 2012 (sic, ndr), altrettanto importante è intervenire per aprire alla concorrenza i servizi pubblici locali», recita che è necessario «promuovere l’accesso al mercato, ad esempio, per la prestazione dei servizi pubblici locali, dove il ricorso agli appalti pubblici dovrebbe essere esteso ( in sostituzione delle concessioni dirette)»: un’aperta istigazione alla violazione dell’esito referendario!

Per quanto riguarda il secondo referendum, quello che ha abrogato la remunerazione del capitale investito, cioè i profitti garantiti nella gestione del servizio idrico, il tentativo in corso è ancora più smaccato: l’Autorità dell’Energia Elettrica e del Gas, cui è stata demandata la costruzione del nuovo metodo tariffario 2012-2013, ha provveduto a ripristinare la remunerazione del capitale, semplicemente cambiandogli il nome, ora ribattezzata «riconoscimento degli oneri finanziari». Non paga di aver violato palesemente l’esito referendario, l’Aeeg modifica l’insieme delle voci tariffarie, riuscendo contemporaneamente a determinare un forte incremento delle bollette dei cittadini (+ 13% previsto nel 2013, mentre il precedente metodo tariffario prevedeva un limite massimo del 6, 5% su base annua) e a disincentivare gli investimenti per il servizio idrico, con la conseguenza che ora i soggetti gestori invocano risorse pubbliche per la loro realizzazione, secondo la nota logica di socializzazione dei costi e privatizzazione dei profitti.

Di fronte a questo tentativo di ribaltare l’ esito referendario, il movimento per l’acqua non si è fermato semplicemente alla denuncia nei confronti di chi, incurante del venir meno del consenso alle logiche di privatizzazione, ora prova direttamente ad imporle, perché «non c’è alternativa», per riprendere un vecchio adagio del pensiero neoliberista. In realtà, in questi due anni, senza alcuna attenzione della gran parte dei media, è andata avanti l’iniziativa del movimento per l’acqua ed è continuato uno scontro che non abbiamo mai pensato si fosse definitivamente risolto con il referendum.
Decine sono le vertenze aperte in tantissimi territori per arrivare ad una reale ripubblicizzazione del servizio idrico: il comune di Napoli ha completato il processo di trasformazione del soggetto gestore in Azienda speciale e su questa strada, pur con difficoltà e, a volte, con molte resistenze, sono incamminate le Amministrazioni di Palermo, Torino, Vicenza, Reggio Emilia, Imperia. In tante altre realtà la discussione è aperta, anche con la presentazione di leggi regionali di iniziativa popolare dalla Sicilia, alla Calabria e nel Lazio. La campagna di «obbedienza civile» con la quale decine di migliaia di cittadini pagano le bollette dovute, senza la remunerazione del capitale, si è saldata a quella contro l’approvazione delle tariffe da parte delle Autorità d’ambito territoriali con risultati significativi, per esempio in Emilia-Romagna e in alcune aree della Toscana.

Abbiamo proiettato la nostra iniziativa anche in Europa, dove, su iniziativa del sindacato europeo dei servizi pubblici e in Italia di tutto il movimento per l’acqua, ormai è in dirittura d’arrivo l’Iniziativa dei Cittadini Europei per bloccare la privatizzazione del servizio idrico, avendo raccolto più di 1 milione e mezzo di firme.

Ora si tratta di compiere un ulteriore salto di qualità, con l’obiettivo di conquistare una nuova legislazione nazionale coerente con l’idea della ripubblicizzazione del servizio idrico: è quanto ci ripromettiamo di fare, con la mobilitazione sociale e con l’iniziativa parlamentare, partendo dalla costituzione dell’Intergruppo dei parlamentari per l’acqua pubblica, che avverrà con un’assemblea pubblica davanti a Montecitorio proprio il prossimo 12 giugno e il cui primo atto sarà proprio la ripresentazione del testo di legge di iniziativa popolare depositata dal Forum Italiana dei Movimenti per l’Acqua nel 2007 e oggi decaduta. Come, sempre il 12 giugno a Roma, terremo un incontro-manifestazione con Stefano Rodotà per ribadire la necessità di proseguire su questo percorso.

Infine non è possibile, per quanto mi riguarda, sempre in tema di bilancio ma con uno sguardo rivolto al futuro, almeno non accennare a due punti di riflessione e di iniziativa che il risultato referendario del 2011 e tutto il percorso del movimento per l’acqua hanno contribuito a fare emergere. Proprio perché, da una parte, nei suoi tratti costitutivi, il movimento per l’acqua non ha mai avuto un tratto semplicemente settoriale, ma ha sviluppato, attraverso un approccio specifico, una critica radicale all’attuale modello produttivo e sociale, e, dall’altra, la vittoria referendaria ha, al di là del tema dell’acqua, dato cittadinanza politica al tema dei beni comuni come uno dei paradigmi generali su cui fondare un’altra idea di società. Ancora, perché, dentro la crisi economica e sociale più forte da un secolo a questa parte, quest’esigenza di costruzione dell’alternativa si rafforza, allora è evidente che occorre pensare alla tessitura di connessioni che, prima di tutto nella società, mettano in relazione i soggetti che si sentono impegnati in questa prospettiva, a partire da quelli che lottano per difendere i beni comuni e per affermare i diritti del lavoro.

Su questo piano è evidente che i temi del reperimento delle risorse, a partire dalla ricostruzione della finanza pubblica, e quello dell’ampliamento della democrazia e delle sue forme costituiscono altrettanti punti di possibile «ponte» tra tutte queste esperienze diffuse nel tessuto sociale.

Il secondo punto, ancora più complesso, è quello legato alla situazione del quadro politico del nostro paese e dello stato della sua rappresentanza politica. Ovviamente, qui non posso fare altro che indicare un titolo, ma per me è evidente che, anche su questo terreno, non è più possibile assistere «da spettatori» alla riproposizione, largamente condivisa dalla «strana maggioranza» che sostiene il governo Letta, di ricette inadeguate a fronteggiare la crisi, dal punto di vista delle scelte di politica economica e sociale, e di idee che si illudono di governarla, sul piano politico e istituzionale, riducendo gli spazi di democrazia con l’accentramento e la personalizzazione delle sedi decisionali. E, rispetto alle quali, la semplice denuncia dei malaffari della «casta» e la contrapposizione tra «garantiti» e non appaiono assolutamente inadeguate se non addirittura subalterne.

È ora di interrogarsi collettivamente anche su tali questioni, cercando strade nuove e non ripetitive di esperienze passate, come ha giustamente indicato Marco Revelli in recenti interventi su questo giornale. Ma di questo avremo senz’altro modo la possibilità di tornare a ragionare.

* Fp Cgil – Forum Italiano Movimenti per l’Acqua