Il 14 aprile 1962, un signore alto, capelli corti e scuri, giacca e cravatta, sigaretta in mano, compare sugli schermi in bianco e nero della RAI. Si chiama Rod Serling, ha trentotto anni; è nato a Syracuse, che nonostante l’assonanza con la città siciliana, fa parte dello stato di New York. Il suo primo doppiatore, Emilio Cigoli, dà parole comprensibili alle poche frasi, sempre le stesse, che da lì a breve renderanno Rod una celebrità anche in Italia. O meglio: renderanno celebre la serie televisiva da lui creata, di cui in seguito sarà autore anche un calibro da novanta chiamato Ray Bradbury. Suonavano così, quelle frasi pronunciate con un mezzo sorriso, studiato per trasmettere inquietudine «C’è una quinta dimensione oltre a quelle che l’uomo già conosce; è senza limiti come l’infinito e senza tempo come l’eternità. È la regione intermedia tra la luce e l’oscurità, tra l’oscuro baratro dell’ignoto e le vette luminose del sapere: è la regione dell’immaginazione, una regione che potrebbe trovarsi (astuti puntini di sospensione, ndr) Ai confini della realtà». Negli States, il primo episodio della serie che verrà consacrata come ‘classica’ va in onda sulla CBS il 2 ottobre del 1959. Si intitola ‘Where Is Everybody?’, ‘La barriera della solitudine’. Ogni episodio di Twilight Zone (la zona del crepuscolo), da noi ribattezzata Ai confini della realtà, è a sé stante e dura 25 minuti. Dopo la presentazione di Serling compare la sigla, accompagnata da una musica eterea e tremolante, cui è affidato il compito di avvisare lo spettatore: preparati a incubi, misteri, avvenimenti paranormali; non cercare spiegazioni, non ci sono. Seguici. Lo spettatore segue eccome, rimanendo incollato allo schermo. Una volta spenta la luce della camera da letto, faticherà a trovar sonno; quel sonno che pare mancasse a Serling, e che lo portava a tessere le trame delle sue storie nel cuore della notte. Gli avvii non sono promettenti, incombe la minaccia della chiusura perché il pubblico sembra non rispondere. E continuerà a farlo fino al 20 novembre, quando viene coinvolto, ottavo episodio, nelle vicende del bancario Henry Bamis di ‘Time Enough at Last’ (Tempo di leggere). Henry è un lettore onnivoro, disprezzato dalla moglie e dal suo diretto superiore, che vedono in lui soltanto un maniaco ossessivo e un po’scemo. Durante la pausa pranzo, Bamis si rifugia in compagnia dei suoi libri dentro la cassaforte della banca. Un giorno, uscendone, si trova davanti una realtà terribile, catastroficamente diversa da quella lasciata mezz’ora prima. Le stagioni della serie classica saranno cinque, per un numero complessivo di 156 episodi, proposti tra il 1959 e il 1964. Gli sceneggiatori Charles Beaumont e Richard Mateson affiancano presto e stabilmente Rod. L’onore di firmare il numero cento, ‘I sing the body electric’ (Il corpo elettrico), spetterà a Ray Bradbury. I rapporti con la direzione della CBS non vedranno mai cieli privi di nubi. Critica principale, l’eccessivo costo delle produzioni. Allo spettatore di oggi ciò può sembrare assurdo. Le ambientazioni negli studios, le astronavi di cartapesta, gli arredi degli interni, risultano, visti adesso, modeste cose se messe a confronto con qualsiasi serie televisiva realizzata una ventina di anni dopo. Le controversie sembrano risolversi dal punto di vista economico grazie a un noto dentifricio che sponsorizza la stagione numero due. Ma tornano a spuntare quando Serling, sommerso dall’eccesso di lavoro, inizia a defilarsi; lo sponsor si ritira, cambia il produttore storico, la quarta stagione viene spostata da settembre a gennaio e i suoi 18 episodi (il numero più basso) portati a cinquanta minuti ciascuno. È l’ingresso sul viale del tramonto, che Twilight Zone imbocca nel 1963/64, ultima stagione. Troppi litigi fra il gruppo degli sceneggiatori e il produttore William Frough, Rod che accresce la sua latitanza, Charles Beaumont malato e fuori gioco. L’alea iacta est della CBS porta alla cancellazione della serie. Che si congederà da milioni e milioni di spettatori il 19 giugno 1964 con ‘The bewitchin’pool’, La piscina stregata. Twilight Zone spegne i riflettori, ma accende subito un mito inestinguibile dentro e fuori gli Stati Uniti.

In Italia, la programmazione di Ai confini della realtà non segue la cronologia originale. Il 14 aprile 1962 Rod Serling annuncia, infatti, il già citato ‘Tempo di leggere’, ottavo episodio della prima stagione. La Rai trasmetterà quattro delle cinque stagioni fino al 1971, mischiando gli episodi senza rispettare il valore importante dell’alternanza dei temi. Insomma: tratta quei venticinque minuti come nobili tappabuchi dentro il palinsesto. La scorsa estate, Rai 3 ha riproposto Ai confini della realtà alle 20 e 10, dal lunedì al venerdì e, in seguito, anche il sabato e la domenica. Un’operazione nostalgia più che un vero tentativo di restituire alla creatura di Rod la gloria che merita. Di certo, i telespettatori, ragazzini quando il piccolo schermo era bianco e nero e dunque esclusi da una visione ritenuta troppo ansiogena, avranno rimandato la cena o gli impegni del dopocena per godersi alcuni classici. E, con un’esclamazione di sorpresa appena venata di dubbio, avranno riconosciuto tra gli attori, soprattutto maschili, volti già allora consacrati alla celebrità, o alla celebrità destinati. Uno dei meriti di Twililight Zone fu, da un lato, di riuscire a portare sul set superstar quali Buster Keaton (‘Once Upon a time’, C’era una volta, terza stagione) e Ida Lupino (‘The Sixteen-Millimeter Shrine’, Il sarcofago, prima stagione); dall’altro di essere stata trampolino di lancio o di conferme per Charles Bronson, Lee Marvin, Lee Van Cliff, Robert Redford, Martin Balsam, Martin Landau, Donald Pleasence, Telly Savalas, Ron Howard bambino, Rod Taylor, Sydney Pollack, Peter Falk. Quest’ultimo gioca il ruolo da protagonista in ‘The mirror’ (Lo specchio), terza stagione. Falk è Ramos Clemente, rivoluzionario salito al potere in un piccolo Paese del Centro America. Durante un colloquio con il presidente deposto, questi rivela a Ramos che nello specchio appeso a una parete della stanza si rifletteranno soltanto coloro che cospirano contro di lui per ucciderlo. Il leader vedrà comparire tutti i suoi collaboratori più fedeli e li farà condannare a morte. Ma non finirà qui. Falk/Clemente porta una divisa militare, ha barba folta, fuma il sigaro. La terza stagione va in onda nel 1961/1962. Quesito facile facile: a chi e a quale stato (magari su un’isola) faceva allusione l’episodio? Sempre nella terza stagione troviamo un Robert Redford venticinquenne che veste i panni del soldato in ‘Nothing in the dark’, Oltre il buio. Il già bel Robert, ferito, chiede ospitalità a una vecchia signora sempre chiusa in casa per paura della morte. Strane cose e strani sotterfugi nasceranno dai discorsi tra i due. Telly Savalas entra in scena con la quinta stagione, in uno degli episodi più inquietanti, ‘Living Doll’, La bambola vivente. Onde nulla togliere alla giusta dose di terrore che l’episodio incute, diciamo soltanto che la piccola Christie arriva a casa tenendo in braccio una bambola regalatale dalla mamma. A Erich, il patrigno, la bambola non piace affatto. Per tutta risposta, lei si mette a parlare e lo minaccia. Il macabro dramma inizia a consumarsi. Alle prese con una bambola è anche Robert Duvall. ‘Miniature’ (La miniatura, quarta stagione) lo vede nel ruolo di un impiegato messo alla porta perché colpevole di troppe assenze. Dove va Charley Parkes invece di recarsi in ufficio? Entra in un museo e, nella sala delle miniature, si ferma a contemplare una bambola che, secondo lui, si muove e di cui si è innamorato. No, non era Barbie, nata il 9 marzo 1959 e ancora con il pannolone addosso.

Ora occorre porsi il quesito fondamentale: qual è stato, quale continua ad essere, a cinquantacinque anni dall’esordio, il segreto del successo di Twilight Zone/Ai confini della realtà? Facile rispondere se guardiamo ai cinefili che coltivano la passione per trame legate al paranormale e alla fantascienza. Ma, in questo caso, non sono stati, continuano a non essere, l’unico pubblico della serie. Al contrario. Sul divano di casa, platea televisiva, sedevano e siedono mogli e mariti, fidanzate e fidanzati, figli e figlie in età adeguata allo spettacolo. Parlando di ceto sociale, poi, Serling seppe attirare nelle spire dei suoi racconti operai, impiegati, dirigenti, professionisti, broker, imprenditori. Il meccanismo si ripropose in Italia, e Ai confini della realtà fece impallidire un’altra serie molto popolare in quegli anni, ‘Hitchkock presenta’, annunciata dal profilo disegnato del maestro del brivido e da lui in persona. Ma Alfred cedeva volentieri all’ironia, disegnava precise realtà di provincia, scherzava col fuoco della suspense senza mai scottarsi. Rod non conosceva compromessi. I suoi venticinque minuti dovevano essere inzuppati di sottile paura, tesi sul filo dell’imprevisto in agguato, avviluppati nel mistero, scanditi da uno humor nero invisibile ai più. Nulla consentiva di tirare un sospiro di sollievo, neppure il The end. I lieto fine di Twilight/Ai confini sono dispensati con sapiente parsimonia. Rifuggendo da teorie psicanalitiche, di cui chi scrive non ha la benché minima competenza, si può tuttavia azzardare che Serling abbia saputo alimentare nei suoi spettatori il desiderio di irrazionalità, il fascino dell’inesplicabile, la piacevole sensazione di vivere qualcosa di drammatico nella dimensione delle proprie e rassicuranti mura domestiche. Di un’altra cosa, non da poco, era certo Rod; l’effetto dei suoi racconti non si esauriva spegnendo il televisore. Il giorno dopo, in ufficio, in fabbrica, nelle sale riunioni, nei salotti all’ora del tè o dell’aperitivo, qualcuno avrebbe chiesto ‘Hai visto Twilight/Ai confini ieri sera?’. I luoghi e le epoche in cui prendevano corpo gli episodi erano i più diversi: una casa, l’abitacolo di una capsula spaziale, la solitudine di un deserto, i reparti dei Grandi Magazzini, un villaggio del Far West, un campo di battaglia durante la Guerra di Secessione, un drugstore, un tranquillo paese americano anni ’50. Fissa, invece, la ricetta capace di trasformare, lentamente, una situazione normale, quotidiana, in un incubo, in una favola buia; di ribaltare le certezze fino a farle diventare segnali di probabile follia; di indurre al sospetto che, dietro un avvenimento innocuo, si nascondano presenze oscure; di richiamare il passato per ridurre in mille pezzi il presente. Qualche esempio. ‘The after hours’, Ore perdute, narra della bionda Marsha White che vuole comprare, in un Grande Magazzino, un ditale d’oro per la madre. La indirizzano al nono piano, e lì Marsha scopre un locale immenso, vuoto di ogni merce con l’eccezione di una vetrina, dove è esposto soltanto un ditale d’oro. La ragazza lo compra, ma una volta a casa si accorge che è danneggiato. Torna al Grande Magazzino. Sul pulsantiera dell’ascensore non c’è il numero del nono piano, il direttore afferma che quel piano non esiste, della commessa che l’ha servita nessuna traccia… In ‘The eye of the beholder’, È bello quel che piace, il viso di Janet Tyler avvolto nelle bende è l’unico che si vede fino all’epilogo. Siamo in una clinica, dove la ragazza sta per tentare l’ultima operazione di chirurgia estetica consentita dalla legge. Se non riuscirà, il suo destino sarà l’esilio in un luogo abitato da altra gente orribile come lei. Di medici, infermiere, guardie di sicurezza vengono inquadrati le gambe, il busto, le mani. Mai il viso. L’operazione fallisce, e quando la macchina da presa si alza e si allarga sull’équipe sanitaria che compiange la sorte di Janet, ecco che… Incerti se proporvi la trama (incompleta) di ‘Nick of the time’, Appena in tempo, o di ‘It’s a good life’,Un piccolo mostro, optiamo per il secondo: meno di mezz’ora in cui aleggiano sovrani il panico e l’angoscia. A suscitarlo in parenti, amici e abitanti del paese, è Anthony, sei anni, dotato di spaventosi e distruttivi poteri, capace di leggere nel pensiero altrui. Non muove foglia che Anthony non voglia. E se osa farlo senza il suo consenso, sarà foglia morta. Negli anni ’80 Twilight Zone/Ai confini della realtà conosce nuove stagioni. Ma c’è il colore al posto del bianco e nero, le scenografie e le sceneggiature sono inamidate dalle regole delle Major, le citazioni che guardano all’illustre passato risultano eccessive. Il confronto non regge, e neppure il pubblico. Rod Sering lascia i confini della terra il 28 giugno 1975. Il corteo che lo accompagna è composto da astronauti, marinai, cow boy, sposini, signore attempate, marziani mascherati da umani, negozianti, agenti di commercio, diavoli, professori, giocatori di baseball, ladri, venditori di auto usate. Partecipa persino la Signora con la falce. Per una volta in veste non ufficiale. Lui, Rod, si volta verso il corteo e lo apostrofa «C’è una quinta dimensione oltre a quelle che l’uomo già conosce; è senza limiti come l’infinito e senza tempo come l’eternità». Poi aggiunge compiaciuto «Era la mia Twilight Zone». Applausi entusiasti.

DOVE TROVARLI

Reperire in dvd i cofanetti di Ai confini della realtà è impresa non da poco. La Dall’Angelo Pictures, che li distribuiva in Italia, non ha rinnovato il contratto con la Sony e le scorte di magazzino sono terminate. Che fare, dunque? Su dvd-store. it., ebay e amazon si può acquistare qualche cofanetto, ma non l’intera serie classica. Occorre essere celeri, perché gli appassionati calano sull’ambita preda a velocità fulminea. In alternativa, idea anche per attendere la mezzanotte e il brindisi al nuovo anno, è di riunirsi tra amici intorno allo schermo, possibilmente grande, di un computer, ed entrare su youtube o dailymotion.com. I due benemeriti siti hanno in archivio molti episodi doppiati in italiano e riversati con attenzione alla qualità. Consigli per la visione. Non mancate Ore perdute, piccolo capolavoro; poi Un uomo obsoleto, L’autostoppista, Chi è il vero marziano?, Tempo di leggere, Appena in tempo, Miele amaro, Il sarcofago, Una partita a biliardo. Non sono presenti, purtroppo, Un piccolo mostro e La bambola vivente. Ma forse, aguzzando la vista su qualche bancarella di mercato, altra valida strada di ricerca, riuscirete a farli vostri. Come è successo a noi, felici possessori di un dvd con tre episodi, pagato quattro euro. Inutile dire che il venditore bengalese non riusciva a comprendere la ragione della nostra (tanta) esultanza