Sorpresa e preoccupazione sono le sensazioni suscitate dalla lettura della lettera che Oskar Lafontaine ha indirizzato alla sinistra italiana attraverso le pagine del manifesto (mercoledì, 14 ottobre). Perché è sicuramente vero che l’esito della trattativa dell’Eurogruppo con la Grecia ha cambiato il giudizio sulle prospettive di forzare la camicia di forza dell’austerità da parte di un governo di sinistra in un paese europeo. Ma è l’indirizzo dell’attacco che mi sembra sbagliato: non Francoforte, ma Berlino.

La Bce, pur con la sua adesione – inaccettabile da forze di sinistra, ma inevitabile – alla linea dell’austerità, non è stata certo l’avversario peggiore della Grecia. Come ha raccontato Varoufakis, l’intransigenza dell’Eurogruppo era frutto dell’egemonia di Schäuble al suo interno. Fu l’Eurogruppo, cioè Schäuble, a chiedere alla Bce di chiudere totalmente i rubinetti del finanziamento alla Grecia, ben prima della fase finale della trattativa (quella della chiusura delle banche greche).

Se la Bce avesse acconsentito a chiudere i finanziamenti Ela quando le fu richiesto, cosa che rifiutò, la Grecia sarebbe uscita dall’euro, con il massimo di disordine monetario e sociale, ben prima del 12 luglio; come proposto da Schäuble e rifiutato da Tsipras.

Ma neppure in passato lo è stata. Nell’autunno 2012 si profilava un attacco all’euro, segnalato dall’esplosione degli spread di Italia e Spagna, che avrebbe potuto portare all’esplosione dell’euro. La risposta della Bce impedì questo crollo che avrebbe avuto conseguenze devastanti per tutti i paesi, Grecia compresa. Queste misure furono duramente contrastate dalla Bundesbank, che seguiva fedelmente la linea del governo tedesco e dell’Eurogruppo, i quali sostenevano che la crisi dei debiti sovrani fosse di natura fiscale, e che quindi la terapia fosse austerità, austerità e ancora più austerità. Inoltre, il Quantitative easing, attuato dalla Bce, non ha avuto certo gli effetti attesi di rilancio delle economie europee, ma ha almeno compensato in parte gli effetti recessivi delle politiche di austerità.

Ma il Consiglio dei Cinque Saggi, l’organo consultivo ufficiale del governo tedesco, lamenta nel suo Rapporto, stilato dopo la conclusione della trattativa con la Grecia, che la supplenza della Bce (cioè l’intervento che ha impedito la catastrofe dell’euro) abbia danneggiato il necessario rigore fiscale. Conseguentemente, sostiene che i Trattati di Maastricht vanno corretti introducendo automatismi che permettano sia il fallimento degli Stati in difficoltà finanziarie che, sempre automaticamente, l’uscita dello Stato che alla fin fine non riesca essere solvibile nel quadro dell’austerità.

In altre parole, secondo i Cinque Saggi, il difetto dei Trattati non è, come pensiamo noi con Lafontaine, “poca” democrazia, ma “troppa” democrazia, che ha reso possibile la deprecabile trattativa politica pubblica con la Grecia.

La linea dei Cinque Saggi, già riproposta da Schäuble all’Eurogruppo, è l’uscita dei paesi deboli. Automaticamente e senza discussione. La mancanza di democrazia sta innanzitutto a Berlino.

Ma, nonostante il richiamo a una maggiore democrazia, la linea di Lafontaine non finisce molto lontano da questa.

Innanzitutto non riesco a vedere i pregi di un neo-Sme per l’Italia. Ricordando i fasti del passato Sme che fu introdotto con il divorzio della Banca d’Italia dal Tesoro, cioè con la perdita di autonomia monetaria del governo italiano (cosa inevitabile se il deficit del bilancio dello Stato deve essere finanziato sui mercati finanziari mondiali). Da cui la crisi della lira del 1992 e la prima finanziaria lacrime e sangue di Amato. Ma ricordiamo che il rientro nello Sme, anche prima dell’ingresso nell’euro, richiese finanziarie di tagli e riforme recessive (governo Dini).

Lafontaine propone un neo-Sme per recuperare «strumenti tradizionali di controllo macroeconomico, come la politica dei tassi di interesse, la politica dei cambi e una politica di bilancio indipendenti». Il fatto è che tali strumenti, nella misura necessaria per il raggiungimento dei condivisibili obiettivi di Lafontaine, sono semplicemente incompatibili con l’esistenza di un qualsivoglia “serpente monetario”, vecchio o nuovo.

Quindi la proposta Lafontaine si riduce all’uscita dall’euro per tornare agli Stati nazionali; cioè equivale alla cancellazione del progetto europeo. Se è questo che si ritiene giusto, lo si dica.

Ma, soprattutto, è a Berlino che Lafontaine si deve rivolgere.

È all’Spd che deve chiedere ragione dell’incredibile appoggio al massacro della Grecia, esplicito alla fine della trattativa, dopo timidissime riserve all’inizio.

È del mancato contrasto politico al riordino europeo (fuori i paesi deboli), riproposto oggi dalla destra tedesca, che Lafontaine deve chiedere ragione all’Spd.

Di lì deve partire. La sinistra italiana seguirà.