Un padroncino, il suo braccio destro, la crisi che sta desertificando il nordest, la commistione tra politica e affari per far girare un po’ di soldi in una regione che ha visto spostare oltre confine fabbriche e fabbrichette. I profitti non si fanno costruendo scarponi da sci, ma neppure con il tessile o la meccanica di precisione come in passato. Adesso la torta da spartire riguarda l’urbanizzazione di aree in disuso; oppure costruendo piccole città fortificate e immuni alla realtà circostante per chi ha accumulato soldi negli anni passati. E poi c’è una banca, grande milanese, che copre una spericolata speculazione edilizia per poi ritirarsi a causa di uno scontro di potere che dovrebbe portare alla cacciata all’amministratore delegato da troppo tempo incollato alla sua sedia. E quando la Banca chiude le linee di credito, l’«effetto domino» prende il via.

Effetto domino è anche il titolo di un romanzo scritto dall’avvocato Romolo Bugaro che Einaudi ha dato poco mandato alle stampe (pp. 228, euro 19.50). La storia si sviluppa senza grandi drammi o colpi di scena.. L’autore si concentra sulle motivazioni che hanno portato tutti i protagonisti a imbarcarsi nella operazione immobiliare. Hanno creduto, chi più chi meno, alla grande favola della terza Italia, cioè quel modello di capitalismo e di relazioni sociali che ha fatto versare a scrittori, sociologi, economisti e politici ettolitri di inchiostro per magnificare il capitalismo molecolare, la versione italica del «self Made man» dove con il sudore della fronte e l’inventiva si potevano accumulare ricchezza. I sogni sono diventati nel tempo incubi. La crisi ha solo dato il colpo di grazia. Prima ci avevano pensato i nuovi protagonisti dell’economia globale, che potevano mettere sul mercato le stesse merci, ma a prezzi stracciati.

Certo, si può galleggiare, accontentarsi dei piccoli affari, che fanno avere dignitosi conti in banca, ma che raramente però superano le sei, sette cifre. Ma il sudore della fronte versato ha bruciato le energie, la voglia di vivere. Dunque bisogna assolutamente fare il colpo gobbo, quello che consente di tirare i remi in barca e godersi la vita. È cosi si può rischiare di fare il passo più lungo della gamba. La caduta è rovinosa, perché avviene quando il progetto imbocca l’ultimo rettilineo. Tutto comincia a precipitare. Il fallimento è l’unica certezza.

Si fermano i cantieri, i materiali per continuare i lavori sono bloccati. Le imprese che partecipano come fornitori si sono indebitate e non hanno alternative che la chiusura. I giornali cominciano a parlare di lavoratori lasciati senza stipendio, di licenziamenti, di operazioni arrischiate, di irresponsabilità. Il suicidio di un piccolo imprenditore è la ciliegina su un dolce che invece di ottima crema e è farcito di sconfitta, di disperazione, di fallimenti anche personali. Sia però chiaro che la cittadina per ricchi si farà, qualcuno interviene e farà profitti per centinaia di milioni di euro. «L’effetto domino si è esaurito». Il normale corso delle cose prende il sopravvento. Solo chi ha sperato nel colpaccio sa che niente sarà più come prima.

Difficile non mettere in relazione questo romanzo con altri sul nordest. Non c’è però nessun mistero da svelare, nessun losco affare da denunciare. Questa storia non è come quelle magistralmente narrate da Massimo Carlotto. Non c’è infatti l’afflato politico di denuncia di un sistema di vita e di potere che scorre come un fiume sotterraneo nei romanzi di Carlotto. Qui siamo di fronte alle vicende di piccoli padroncini che conducono una vita normale, senza grandi emozioni. Sono uomini e donne senza qualità. La loro esistenza è normale, fin troppo normale. L’autore ha scelto la strada dell’introspezione, delle aspettative tradite, dei sogni infranti. Ma alla fine emerge il declino, anzi la fine della terza Italia. La favola è finita. La realtà parla un altra lingua. Evidenzia suicidi, fallimenti, fuga di capitali, mentre chi rimane può accumulare altri soldi, ma solo sul fallimento di altri.