Il Torino Film Festival è partito ieri (sul numero di Alias di oggi consigli per orientarsi tra i film, mentre qui accanto, nella rubrica SanaMente, preziosi indirizzi per godersi tra una proiezione e l’altra anche la città), un programma fin troppo affollato – ma la bulimia sembra essere male condiviso da tanti festival – nel quale si fa fatica, almeno sulla carta, a scorgere una ricerca di cinema (o più) condivisa. Fa sempre piacere comunque ritrovare cineasti amici, che in festival come questo trovano la possibilità di mostrare i propri film al pubblico, altrove (fuori dai circuiti festivalieri cioè) sarebbe impossibile. Penso a Tonino De Bernardi infaticabile sperimentatore underground che nella sezione Onde presenta il suo nuovo Jour et nuit. Delle donne e degli uomini perduti – «Quando ero piccolo si usava spesso l’espressione ’donne perdute’ per dire delle prostitute, io ho aggiunto anche gli uomini a questa categoria». Un film sulla prostituzione ma in stile De Bernardi, che allarga l’orizzonte e d’improvviso ci porta in Grecia seguendo Joana Preise – «Anche la Grecia è considerato un paese perduto, e invece se ci vai capisci che non c’è solo la crisi economica».

 
Ci sono poi storie torinesi, ad esempio la Tav e la resistenza che ha unito un luogo, la Val di Susa, e persone diversissime tra loro in anni di scontri, proteste dure, resistenza all’alta velocità il cui cantiere già «taglia» la Valle. La racconta in Qui Daniele Gaglianone, regista torinese d’adozione – è nato nelle Marche ma è cresciuto sotto alla Mole e lì ha cominciato a fare cinema. Qui – che sarà anche a Milano nel cartellone di Filmmaker (l’1 dicembre, in gara) prova a forzare il bordo dell’immagine mediatica cercando, attraverso gli incontri che punteggiano questo strano on the road a falso movimento, le ragioni di una battaglia in persone e storie che raccontano qualcos’altro.

 
Torinese è poi Marilena Moretti, e torinesissimo era Alberto Signetto che se ne è andato quest’anno dopo una malattia che aveva cercato di contrastare fino all’ultimo. Ma tutta la sua vita è stata un combattimento testardo per la sua passione , il cinema, che lui voleva libero, indipendente, senza compromesso. Ci ha rimesso la casa, l’esistenza tanto alla fine da non riuscire a fare la spesa. Ma senza mai lamentarsi, senza retoriche di pietismo, sempre affrontando il mondo con la corazza dell’ironia. Forse per questo gli amici lo chiamavano il rinoceronte rosso, un animale cocciuto, grosso, ingombrante, poco addomesticabile come era lui. E Walking with Red Rhino si chiama il film che Marilena Moretti gli ha dedicato (si vedrà domenica alle 19.30, «contro» Woody Allen ride lei), una passeggiata attraverso la vita di Alberto Signetto, insieme a lui e nel suo quotidiano appassionato di cinema. «Per me è prima di tutto un atto d’amore, non solo nei confronti di Alberto Signetto che era un amico, ci conoscevamo da sempre, ma verso il cinema indipendente, e quei registi che scalano le montagne per farlo nell’indifferenza delle istitituzioni».

 
Lei Signetto lo ha seguito tre anni, all’inizio aveva pensato di realizzare un ritratto, «una cosa piccola», poi la malattia di Signetto ha scompigliato le cose. «È stato anche il mio modo di chiedergli scusa. Quando ci siamo incontrati tant tempo fa, lavorando alla Rai di Torino, Alberto mi era sembrato un presuntuoso, fissato con Straub, Godard, Anghelopoulos insieme a cui aveva lavorato. Anni dopo, nel frattempo ero andata a vivere a Roma facendo scelte professionali diverse, in quell’ambito commerciale che lui detestava, , l’ho rivisto e ho visto i suoi film nel corso di un omaggio che gli era stato dedicato qui a Torino. Mi sono sembrati dei capolavori, così mi sono detta che si doveva accendere un riflettore su di lui che in quel momento stava sprofondando nel buio. Era stremato dalla sua lotta contro il mondo e aveva pagato un prezzo altissimo per la sua coerenza. Stava traslocando, aveva perduto l’amata casa di famiglia e non sapeva dove andare. Passava da un luogo all’altro condannato al nomadismo, ma fino all’ultimo non si è arreso: continuava a parlare di progetti, scherzava coi medici, diceva che lui era Nick (Ray) e io Wim (Wenders) parafrasando Nick’s Movie. Con questo film lo conosceremo spero di più ».