Fra le varie motivazioni pretestuose e compromissorie, cui chiedevo di rispondere con fermezza nel mio articolo “Il punto fermo” (il manifesto, 23 agosto), a quanti le avessero usate per salvare Berlusconi (respingere tout court la decadenza, manipolare in qualche modo la ineleggibilità, concedere la grazia, adoperarsi per manovre dilatorie di ogni tipo, ecc. ecc.), non mi era venuto in mente di annoverare anche l’amnistia. Come mai? Perché mi sembrava impossibile che qualcuno avesse il coraggio di tirare in ballo la più bastarda, la più infamante delle possibilità di salvazione del pregiudicato Berlusconi: il baratto, visibile e consapevole a tutti, tra una misura in sé astrattamente giusta e la continuazione, anzi l’inevitabile accentuazione del degrado etico-politico del sistema italiano, e in particolare della sua sinistra, la quale dovrebbe inevitabilmente condividere e votare il colossale inciucio.

Massimo Villone ha già illustrato (il manifesto, 25 agosto), con la consueta eleganza e dottrina, tutti gli argomenti che muovono contro l’adozione di una linea del genere.

Vorrei solo aggiungere una considerazione di ordine, in qualche modo, personale. Cadere in questa trappola per motivi squisitamente umanitari non è in fondo molto diverso, nei molteplici effetti finali, dal condividerne l’ispirazione perversamente assolutoria.

Se s’imbocca questa strada, si dimentica, o si accantona, quale sia la posta in gioco. Non mi riferisco soltanto al dogma della legalità puramente e semplicemente considerato. Mi riferisco all’ennesima, catastrofica ricaduta che ne deriverebbe nelle politiche di sostegno ai lavoratori, di riforma della società, di redistribuzione dei poteri, di trasformazione (in meglio) della politica. Questo è il punto fermo, di cui io mi sono sforzato di parlare. Al resto ci si penserà dopo, se ci sarà un dopo.