Basta una foto per riassumere le asperità e le felici intuizioni presenti in un libro. Quella che campeggia sulla copertina de La radicalità dell’amore (DeriveApprodi, pp. 141, euro 15, collana Opera viva) del filosofo d’origine slovena ma cosmopolita per convinzione Srecko Horvat è di questo tipo. Ritrae due giovani distesi sull’asfalto che si baciano appassionatamente mentre intorno è in corso una battaglia di strada tra manifestanti antiausterità e forze dell’ordine. Il tema è dunque quello che vede il legame tra desiderio e rivoluzione, come evidenzia sia il sottotitolo che l’insieme del libro.

Horvat è convinto che il sentimento dell’amore e della passione sovverta ritmi, consuetudini, vita quotidiana. L’amore irrompe nella vita dei singoli e determina un prima e un dopo, cioè una rottura nell’ordine sociale. Ne sono testimonianza i versi dei poeti maledetti francesi, dove la passione e il desiderio sessuale sono l’antidoto a una noiosa esistenza borghese. Non sarebbe stato male una presenza in questo saggio del marchese De Sade, secondo il quale l’amore è sinonimo di un lungo e a volte doloroso apprendistato alla libertà, con buona pace di chi lo considera solo un libertino amante del dolore. Ma è un’assenza che nulla toglie al cuore del libro. Sono buoni rivoluzionari coloro che assumono questa rottura come elemento distintivo delle loro proposte politiche. Perché l’amore, e il desiderio, mandano in frantumi ruoli e gerarchie, sovvertono i rapporti di potere tra uomini e donne. Buona è cioè quella rivoluzione che rende l’amore elemento fondante. E di esempi di buone rivoluzioni è costellata la storia novecentesca. Così come altrettante numerose sono state e sono le esperienze di cattive rivoluzione. Il discrimine è allora su come l’amore entra nel processo rivoluzionario, cioè se il desiderio è fatto proprio o messo all’angolo, sublimato in attesa del sorgere del sol dell’avvenire.

Buona fu all’inizio la rivoluzione d’Ottobre. Carla Kollontaj era la paladina del libero amore, della dissoluzione del matrimonio borghese, della libertà femminile. Lenin era l’austero dirigente che invitava alla calma, anche se l’amore aveva rivoluzionato la sua vita. Ma se la dialettica rimane aperta, una manciata di anni dopo l’ordine va ristabilito. Niente libero amore, ma solo dedizione al nuovo stato socialista.

Diverso è quanto scrive Che Guevara. L’amore non può scomparire dalla vita di un rivoluzionario, ma va vissuto con intensità al di fuori delle convenzioni dominanti o del partito.

Cattive è invece la rivoluzione iraniana, che inibisce il desiderio e riproducono relazioni gerarchiche e di oppressione delle donne.

L’elenco è lungo e può risultare tedioso. C’è però quel Sessantotto che è difficile catalogare. Amore, desiderio, libertà sessuale sono a quella «rivoluzione mondiale». Horvat avverte però che il lessico sessantottino è usato nell’era della mercificazione radicale del sesso e di una rinnovata ma non bacchettona riduzione della donna a oggetto del desiderio maschile in nome di una libertà radicale del godimento. È con questo ordine «amorale» che la radicalità dell’amore deve misurarsi. Incontro con l’altro o l’altra, condivisione, incontro di corpi e di desideri. Rottura dell’ordine del discorso dominante: queste le sfide che si pongono a chiunque ami e desideri. La foto posta in copertina esprime ciò. Il piccolo mondo costruito dai due giovani amanti non si sottrae al grande mondo, perché ha il potere di illuminarne le potenzialità di trasformazione, meglio di rivoluzione che sono presenti ogni volta che il desiderio si manifesta.