Se, nel vostro vagabondare per El Once, L’Undici, le targhe delle vie vi diranno che siete all’angolo di Lavalle e Junín, fermatevi. Niente di speciale da vedere, ma quell’angolo rappresenta, nella vita di Daniel Burman, un posto profetico. Era il 1975, il futuro regista aveva soltanto due anni. Sua madre si fermò a salutare la signora Birmajer, che teneva per mano Marcelo, di sei anni più grande.

Forse i due si diedero una sbirciatina. Certo si rividero una ventina di anni dopo, quando Burman chiese a Birmajer, scrittore e sceneggiatore di cinema, il permesso di includere un suo poema nel documentario Siete días en el Once. Nel 2004, firmeranno insieme il lungometraggio El abrazo partido. Burman e Birmajer. Due fra i tanti cognomi di origine ebraica che circolano per El Once, il più giudeo dei quartieri di Buenos Aires: sesta città nel mondo per numero di abitanti di tale fede, migrati qui nell’800, e seguiti, negli anni ’80 del secolo passato da peruviani, boliviani e coreani del Sud.

L’anima di El Once è il commercio. Le tiendas, i negozi, trattano bigiotteria, tessuti, abbigliamento, alimentari, ristorazione ambulante… La leggenda, qui, vuole un Golem. E un golem c’è. Lo creò un rabbino – migrante di Praga, Judah Loew ben Bezabel che lo nascose dentro una casa, in un vicolo del pasaje Colombo o El Victoria. I confini di El Once, quartiere «non ufficiale» ma zona del barrio Balvanera, sono Corrientes, Pueyrredón, Rivadavia y Pasteur.

Il nome per intero, El Once de sieptembre, deriva dall’omonima stazione ferroviaria, dedicata all’11 settembre 1854, data in cui Buenos Aires rifiutò di aderire alla nuova Costituzione federale e si separò dal resto del Paese. Al contrario delle ore notturne, quando L’Undici diviene luogo buio e un po’spettrale, il sole valorizza i tanti palazzi e piazze disegnati nel Diciannovesimo secolo fino a metà del Ventesimo. Plaza Miserere, calderone di umanità e traffico, venne costruita nel 1907 su progetto di John Doler, ispirandosi alle architetture rinascimentali. Perón 2505 e 2622 ospitano due edifici, capolavori di Art Nouveau e Art Decó.

Attrattiva curiosa la offre avenida Avellaneda, dove, a partire dal 1983, i coreani aprirono oltre duecento negozi di tessuti. Le insegne con i caratteri della comunità orientale sfilano accanto a quelle con caratteri ebraici. La miscela di culture si esprime anche nei menu dei ristoranti. In omaggio a chi è arrivato per primo, ecco due segnalazioni kosher. El Jaial (il guerriero, in lingua ebraica), Tucumán 2620. Il cuoco vince con gli spuntini (bohio, kipe, muerra) e con la carne alla griglia. Vera specialità il panino di shawarma o falafel. Il Sucath David, Tucumán 2349, 541/49528878, è il miglior kosher della città: humus, pastrami con riso, lahmayin (pasticcio di carne al forno), melanzane, gombo.

Lo Yafo, stessa impronta gastronomica, si trova in Paso 747, 5411/4966055. Tre stelle raccomandati per pulizia e confort: Destino Real Hotel, Anchorena 58, Balvanera, destinorealhotel.com.ar; Hotel Mitre, Bartolomé Mitre 2717, hotelmitre.com.ar. Prezzi sul sito internet. Ha scritto Marcelo Cohen nel romanzo Encuentro de pensamiento Urbano «El Once potrebbe essere un’opera d’arte dello squilibrio». Certamente lo è.