I vostri figli non sono figli vostri» scrisse il poeta libanese Khalil Gibran. Pur essendo figli della forza stessa della vita rappresentano, infatti, seconde possibilità per chi si trova a fare i conti con l’ingresso in casa di un piccolo essere vivente che diviene, in pochi mesi, individuo con gusti e inclinazioni, curioso osservatore della realtà che lo circonda e dalla quale carpisce modelli, insegnamenti e sodalizi. Crescere un figlio è prima di tutto un’assunzione di responsabilità verso una vita futura. E nell’educazione risiede forse il compito più arduo per ogni genitore. C’è chi, come Dario Martinelli, semiologo, musicologo e compositore dell’Università di Helsinki, da anni impegnato nello studio della comunicazione animale, in animalistLettera a un futuro animalista (Mursia, pp. 232, euro 16) nello scrivere al figlio Elmis parte dalla «responsabilità precisa (ed enorme)» che si è preso nei suoi confronti: dargli, fin dalla nascita, un’educazione animalista.

Nell’insieme delle missive che coprono circa due anni di vita del bambino – dal giorno in cui Elmis inizia a integrare il latte materno con una dieta vegetale, al momento in cui impara a scrivere il proprio nome, sancendo di fatto la capacità di proseguire da solo la propria storia – il padre gli dedica lettere che parlano di coerenza, coraggio, dignità, libertà, giustizia e molte altre virtù che riportano Elmis (e noi con lui) a una delle questioni centrali del nostro tempo: il rapporto con gli altri animali. Altri, perché come sottolinea Martinelli, anche l’uomo è un animale e, al di là di finti paternalismi e ridicoli vezzi (il cagnolino con il cappotto amato come fosse un infante) o insensibilità diffuse (quella verso i milioni di animali uccisi ogni anno a fini alimentari), è proprio da tale considerazione che dovremmo ripartire nel riformulare un’idea di condivisione del pianeta più equa per tutti i viventi.

Non dobbiamo provare una particolare passione per maiali o galline, scrive Martinelli, per esigere un destino diverso da quello che tocca loro nella nostra società (pensiamo ai dati Fao che stimano a 90mila i polli uccisi ogni minuto per finire sulla tavola della nostra specie). Basterebbe accorgersi di quanto gli animali non umani ci potrebbero insegnare in termini di capacità relazionali, comunicative, artistiche (Martinelli ha compiuto affascinanti ricerche nel campo della zoosemiotica evidenziando come anche gli animali producano liriche raffinate, che non è una proiezione antropomorfica definire come «musica») per rendersi conto dell’operazione di riduzione ontologica e materiale che riserviamo loro. Cosa perdiamo nel vedere in un maiale solo una bistecca? A Elmis viene così trasmessa una sorta di «spiritualismo laico», che elegge la vita tutta (bios) e non solo l’uomo (anthropos) a soggetto degno di considerazione morale.

Le missive di Martinelli, sorta di contraltare speculare a quella Lettera al padre dove Kafka (non a caso illustre vegetariano) rimproverava al padre di essere cresciuto nel terrore del Padre-Padrone, sono inni alla libertà: «sii ricco Elmis, sii tutto ciò che sei e che puoi essere». È dall’alterità che traiamo la nostra ricchezza.

Martinelli, nel concludere l’epistolario, cita poi il motto latino «non siamo nati solo per noi stessi, ma per tutto il mondo» (non nobis solum, sed toti mundo nati): se abbassiamo le soglie del nostro egocentrismo di specie troviamo gli animali che appaiono come epifanie nella nostra vita quotidiana – lo storno che si posa sul davanzale – soggetti da non possedere ma che, come Elmis, devono essere lasciati liberi di poter-essere.