La critica al modello neoliberista interroga uomini e donne. Accanto agli strumenti per soli addetti ai lavori, teoricamente irreprensibili ma che spesso rimangono separati dalla materialità delle singole vite, esistono comunità di pratiche che, da qualche anno, si interrogano su nuove modalità del quotidiano. Sostanzialmente alla ricerca di una relazione che tenga conto del vivente e del sapere dell’esperienza di donne e uomini, queste comunità sono costituite dai molti gruppi che – in Italia e non solo – rispondono alle «economie diverse», e in altre parti del mondo al cosiddetto buen vivir.

Sostanzialmente rifiutano l’economicismo neoliberista e il mercato a senso unico che l’iper-produzione prevede; hanno poi una matrice ecologista e vivono della contaminazione di metodologie precise: quelle prodotte dal partire da sé e della cura del vivente. Se rimanere inchiodati alla sola divaricazione economica prevedrebbe una paralisi, le comunità di pratiche comprendono un modo più ampio e articolato di stare nel mondo; sono Gas, produttori e consumatori critici, Des/Res, realtà associative e cooperative, gruppi sulla decrescita felice e alcuni altri. Sono le economie altre che è preferibile declinare, appunto, come «diverse»; è con questa connotazione che infatti si evince una distanza siderale dalla spinta necrofila del capitalismo finanziario. Nonostante la distanza e la postura differente, queste economie appartengono al mercato e a una significazione politica e sociale su cui sarebbe bene continuare a soffermarsi.

Poggiate saldamente agli studi condotti da Ivan Illich su bisogni, crescita industriale e convivialità, le economie diverse hanno il pregio di offrire nuove narrazioni sul lavoro, le relazioni e il modo in cui si intende la creazione comune.
Del resto già dagli anni ’80 Alain Caillé fonda insieme ad altri il Mouvement Anti-Utilitariste dans les Sciences Sociales che nel suo acronimo ricorda Marcel Mauss, riferimento – insieme a Karl Polanyi – della sua posizione.
Arriva dunque da un percorso lungo il Manifeste convivialiste. Déclaration d’interdépendance (Le bord de l’eau 2013, trad. it. Manifesto convivialista. Dichiarazione di interdipendenza, ETS 2014) redatto dallo stesso Alain Caillé insieme al sostegno di Serge Latouche, Susan George, Edgar Morin, Chantal Mouffe, Ève Chiapello e molte/i altre/i che lo hanno firmato. La rilettura dei movimenti dal basso come occasione di ripensamento del presente, si colloca epistemologicamente nella transizione dall’homo oeconomicus all’homo convivialis. In Italia è già da diversi anni che esistono laboratori di pratiche politiche che si sorreggono attraverso il doppio passo dell’ambientalismo e dell’esperienza metodologica femminista del partire da sé e dunque da un’assunzione di un pensiero incarnato dell’esperienza.

Già con la pubblicazione del volume Davide e Golia. La primavera delle economie diverse (2013) curato da Antonia De Vita, Lucia Bertell, Marco Deriu e Giorgio Gosetti all’interno del gruppo veronese TiLT/territori in libera transizione, si segnala una precisazione rispetto le economie diverse, che non sono forme di emarginazione etica né la rappresentazione tout court del terzo settore. «La confusione/adesione tra terzo settore ed economie diverse – secondo Lucia Bertell – va tenuta a bada mettendo ordine non tanto nelle differenti forme giuridiche, che oramai poco parlano delle stesse imprese e realtà associative, ma piuttosto facendo luce sulle motivazioni, sul rapporto con il sistema economico dominante, sul posto che si dà al denaro o all’ambiente, o a quello che occupano le relazioni e la giustizia, e l’equità».

Le economie diverse sono capaci di creazione sociale, portatrici come sono di «strutture che connettono»; è un’intuizione antropologica fondamentale, come specifica Antonia De Vita, in cui alla centralità del leader si sostituisce la produzione di un’autorità circolante. Infatti, prosegue, «le tante voci ascoltate sinora ribadiscono in maniere differenti il bisogno di riappropriarsi di spazi di partecipazione e di protagonismo che restituiscano a ciascuno un proprio posto e una propria responsabilità in aspetti importanti della vita che altrimenti sarebbero lasciati all’alienazione. La centralità delle persone, viste non come individui solitari, ma assieme ad altri, viene affermata con forza».

Le economie diverse sono anche punto nevralgico di un differente modo di intendere le relazioni; sovvertono il paradigma del sistema produttivo mainstream, della sovra-esposizione e del brand di se stessi, della mortifera serialità che si specchia nelle angosce di ognuna e ognuno.
E se è vero ciò che sottolinea Federica de Cordova, cioè che scegliere di agire le economie diverse significa sottrarsi alla violenza neoliberista, è altrettanto plausibile che la nominazione di quella «violenza strutturale» porti uno spostamento: «di fronte a questo senso di impotenza i protagonisti delle nostre storie fanno un passaggio: partendo da sé, dal contatto vivo con questo stato di malessere, identificano le «economie diverse» come strategia di fuoriuscita da quella condizione, come comportamento resiliente. Non si tratta di sopravvivenza in termini puramente economici, ma di una necessità vitale (di vita) che porta a «selezionare» questa tra le molte scelte possibili di stare in relazione con il sistema». La dimensione di queste azioni economiche ha un precipitato diretto nella forma del lavoro. Un ripensamento che si muove, secondo Giorgio Gosetti, nella «tensione costante tra movimento e istituzione», probabilmente non risolvendola mai del tutto. Eppure a comporre la ricerca sociale sono materiali straordinari di testimonianze, interviste, casi studio e interpellanze dirette dei e delle protagoniste, come è accaduto lo scorso novembre in occasione di un convegno dedicato al lavoro nelle economie diverse realizzato su numerosi scambi nel territorio del Veneto e della Sardegna (Qualità del lavoro e forme economiche emergenti. Donne e uomini nella creazione di nuovi modelli di lavoro e produzione, in corso di pubblicazione, Angeli).

Nella stessa direzione si apre domani a Verona il quarto incontro nazionale di Prove di futuro intorno alle economie diverse e quest’anno dedicato al tema della non-violenza che si svolgerà in tre appuntamenti (uno al mese) fino ad aprile, organizzato da TiLT e Le Matonele/donne e uomini verso un’altra società, insieme a UniMat – gruppo di autoformazione Università e Territorio e Il Circolo della Rosa di Verona. Le riflessioni sulle economie diverse hanno avuto inizio intorno a ricerche sociali, indagini e pratiche politiche sia nella costituzione della Rete di Economia Solidale veronese che nell’interscambio tra economie locali. Al gruppo di TiLT partecipano numerose competenze che si muovono negli scambi di pratiche politiche tra filosofia, sociologia, pedagogia e psicologia.

Anche in questa quarta edizione di Prove di futuro si darà spazio ai movimenti della transizione che significano nuove interpretazioni dell’antagonismo, la ricostruzione di luoghi e spazi in comune. Si sta cioè dentro il conflitto esattamente dove la conflittualità ha perso i suoi contorni, nella sproporzione e nella disparità si cambia il posto in cui risiede la forza. Come succede a Davide e Golia appunto. Il simbolico di questa rappresentazione tuttavia cambia così come muta il contesto e la relazione con il territorio, con lo spazio urbano e con gli sconfinamenti disciplinari. Il primo incontro di domani avrà come tema Fare la pace con natura e territorio (Giorgio Gosetti – Università di Verona/TiLT; Martina Lucia Lanza – Movimento non violento; Marco Passigato – Amici della bicicletta). Il 25 marzo ci si interrogherà intorno al «Matriarché: c’è un principio femminile della non violenza?» (Antonia De Vita – Università di Verona/TiLT; Michela Pereira – Università di Firenze; Mimmi Spurio – Res Verona Le matonele), mentre il 22 aprile sarà la volta di tre riflessioni attorno alla «Violenza del superfluo» (Veronica Polin – Università di Verona; Antonella Valer – Bilanci di Giustizia; Michele Bottari – Res Verona Le matonele).