«Ci troviamo davanti a un grande dovere politico ed economico di ripensare e correggere le disfunzioni e le distorsioni dell’attuale modello di sviluppo». «Tra pochi giorni si terrà a Parigi un’importante conferenza sui cambiamenti climatici. In questo contesto internazionale ci troviamo di fronte a una scelta che non può essere ignorata: o migliorare o distruggere l’ambiente».

Arriva dalla sede di Nairobi del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (United Nations Environment Programme – Unep) il monito del Papa ed è rivolto ai rappresentanti di 190 Paesi e 147 tra premier e capi di Stato che da lunedì faranno tavola rotonda alla Conferenza sul clima, la ventunesima Conference of the Parties sotto l’egida delle Nazioni Unite (COP21) ospitata da una Parigi ferita e ancora sotto shock dopo gli attentati del 13 novembre scorso.
Sarebbe «catastrofico», ha continuato Francesco (invitando l’intera comunità internazionale ad ascoltare «il grido che sale dall’umanità e dalla terra stessa») in un lungo discorso in spagnolo, se gli interessi particolari dovessero prevalere sul bene comune delle persone e del pianeta o se la conferenza fosse manipolata da interessi di mercato. Forte e chiara la sua richiesta di intervento contro il bracconaggio e lo sfruttamento illegale delle risorse minerarie in Africa, così come di «un nuovo sistema energetico» con la riduzione dei combustibili fossili al minimo.

La giornata del Pontefice in Kenya è iniziata ieri mattina con l’incontro di 25 capi religiosi, dai musulmani agli animisti, prima della messa all’aperto sotto la pioggia battente per decine di migliaia di persone provenienti oltreché dal Kenya, dalla Repubblica Democratica del Congo, dal Rwanda, Burundi e Tanzania.
Il traffico illegale di avorio e diamanti – ha messo in guardia Francesco durante l’omelia – alimenta i conflitti, «la criminalità organizzata e il terrorismo» in un continente sotto il tiro continuo dei gruppi integralisti. E a questo riguardo non è mancato il ricordo degli attentati in Kenya di aprile scorso per mano del gruppo fondamentalista somalo Al-Shabaab al Garissa University College (147 gli studenti uccisi) e del settembre 2013 al Westgate Shopping Mall di Nairobi (circa 69 i morti).

Così come non è mancato l’invito a creare una società «giusta» e «inclusiva» e a «resistere alle pratiche che favoriscono l’arroganza negli uomini» in una nazione – il Kenya – scossa da scandali di corruzione (gli ultimi dei quali hanno portato pochi giorni fa a un rimpasto di governo).
Oggi il papa è atteso in Uganda, un altro Paese afflitto dalla corruzione oltreché dalla minaccia terroristica degli Al-Shabaab (si ricordi nel 2010, in occasione dei mondiali di calcio, l’attentato a Kampala, 79 le vittime) “punito” come il Kenya dai jihadisti per avere invaso la Somalia.
L’Uganda è anche un Paese molto conservatore dove grande è l’aspettativa nei confronti di Francesco da parte dei gruppi Lgbt che facendo leva sul suo messaggio pastorale più aperto e inclusivo gli hanno rivolto l’appello affinché denunci l’omofobia e porti un messaggio di tolleranza verso una minoranza che soffre forti persecuzioni nella vita quotidiana e nelle aule dei tribunali.

Nell’agosto 2014, sei mesi dopo (nel febbraio) la sua approvazione, la Corte Costituzionale ha annullato per irregolarità tecniche (in Parlamento non era stato raggiunto il quorum per procedere alla votazione) una legge draconiana contro le relazioni omosessuali. La legge, che prevede gravi pene detentive tra cui anche il carcere a vita (e che, criminalizzando gruppi ad alto rischio di contagio Hiv come uomini gay, prostitute e transgender, minaccia i progressi nello sforzo globale per combattere l’Aids) gode però di un ampio sostegno popolare in un Paese conservatore come l’Uganda. Nonostante la legge si stata annullata, il Parlamento non ha rinunciato a lavorare a una nuova proposta omofobica.

Il Presidente Yoweri Museveni, 71 anni, al potere dal dal 1986, ci si aspetta resterà in carica per un altro mandato di 5 anni nonostante le forti e diffuse critiche di autoritarismo e di incapacità di sradicare un sistema politico corrotto che gli vengono mosse. Dalla sua parte c’è il fatto che sia stato capace di sviluppare una forte crescita economica e una certa stabilità politica dopo anni di turbolenze. I suoi oppositori lo accusano di volere mantenere la carica a vita finché non passerà il testimone al figlio, Kainerugaba Muhoozi, un brigadiere dell’esercito. Recentemente infatti la commissione elettorale ugandese ha approvato la sua candidatura (e quindi il suo tentativo di estendere i suoi tre decenni in carica) alle presidenziali del 2016.