Mona Seif, 29 anni, è tra le più famose attiviste per i diritti umani dell’Egitto post Mubarak. Il fratello Alaa Abd El-Fattah è stato più volte incarcerato come leader del movimento di piazza Tahrir e ha subìto l’ultima condanna a 5 anni di carcere nel 2015. Mona ha seguito lo sviluppo tragico del caso di Giulio Regeni e ieri è tornata su Facebook per rivolgere un appello agli stranieri che vogliono venire Egitto. È un duro atto di accusa del clima di violenza, diffidenze, intimidazione, che si vive in Egitto.

Ecco l’appello:

«Questo è un messaggio sincero: Se siete uno straniero PER FAVORE non venire in Egitto. Almeno non adesso. Non venire finché non saremo capaci di darti un minimo di sicurezza e un trattamento adeguato da parte della popolazione e delle autorità. Non venire finché i media continuano a istigare le persone, spingendole a dubitare di qualsiasi straniero incontrato per strade come se fosse una spia potenziale che cerca di distruggere il loro Paese, non venire finché qualsiasi poliziotto di qualsiasi grado si sente in diritto di detenere e magari torturare senza motivo chiunque cammini per strada, e non finché questo stato di paura/dubbio spinge ognuno a prendere le questioni nelle proprie mani.
Non venire finché la polizia si trova ad orchestrare molti dei rapimenti, e quando non è direttamente implicata è totalmente inutile nell’opera di prevenzione dei crimini, nel proteggervi, e persino nel rivelare quanto è accaduto dopo che è accaduto.

Per favore state lontani da questo paese che è piagato dalla morte e dall’orrore in ogni suo angolo, finché non riusciremo in qualche modo a riconquistare uno spazio comune sicuro per tutti, per quelli che vivono qui e per coloro che vengono da fuori.

Se insistete nel venire a studiare o anche solo a visitare o esplorare l’Egitto adesso, siate pienamente consapevoli dei veri rischi che si corrono anche solo camminando per strada, anche solo esistendo.

Mi dispiace molto per la famiglia e gli amici di Giulio Regeni.

Noi ci siamo così abituati alle notizie quotidiane di torture, rapimenti e morti che le abbiamo quasi accettate come parte integrante delle nostre identità, un prezzo inevitabile per il nostro essere cittadini.

Ma non riesco a immaginare cosa si possa provare nel perdere una persona amata per questo orrore, e in un paese così lontano da casa. Mi dispiace molto che il calore e l’entusiasmo che Giulio aveva per l’Egitto siano stati ripagati con tanto dolore e tanta crudeltà».