Il mese scorso ha suscitato un certo scalpore la notizia che, come parte del programma di smobilitazione del Pentagono, il distretto scolastico di Los Angeles avesse ricevuto in dotazione 60 fucili d’assalto militari M16, 3 lanciarazzi ed un veicolo anfibio anti-mina da poco rientrati dall’Iraq. Un eccesso di zelo anche per un sistema – quello scolastico americano col vizio di confondere un po’ troppo spesso la pubblica istruzione con un problema di ordine pubblico. Il distretto di Los Angeles, secondo solo a quello di New York per grandezza, mantiene una forza di polizia autonoma di 350 agenti armati e 126 guardie giurate che pattugliano le scuole col potere di arrestare assenti ingiustificati o ragazzi che fumano uno spinello. E dire che la disciplina non sarebbe il problema principale di un sistema assillato da mille difficoltà, che piazza regolarmente i propri studenti in deludenti posizioni nelle classifiche attitudinali internazionali (gli ultimi dati danno i ragazzi americani trentunesimi in matematica e ventunesimi nel mondo in scienze e lettere). Incredibilmente inoltre solo il 70% degli iscritti finisce le scuole secondarie, un tasso straordinario visto che quasi terzo addirittura dei ragazzi non finisce la scuola dell’obbligo.
Oltre alla cronica penuria di fondi pubblici, sempre insufficienti, i problemi della scuola americana in generale derivano in gran parte alle diseguaglianze inerenti ad una società multietnica e multirazziale caratterizzata da forti scompensi sociali. In Usa, l’istruzione pubblica fa capo ad amministrazioni municipali o provinciali operanti nell’ambito delle linee guida di massima stabilite dal ministero federale. Così un provveditorato come quello di Los Angeles si trova ad amministrare 700mila studenti in un migliaio di scuole che riflettono la vasta diversità della città. All’interno dello stesso distretto esistono scuole drasticamente diverse: mentre nel quartiere nero di South LA è normale trovare campus asfaltati e reticolati con studentesche interamente più sorvegliate che istruite, lo stesso distretto amministra istituti in zone agiate in cui scuole modello dispongono di laboratori di robotica e orti biologici. La differenza la fanno di solito le associazioni di genitori che hanno ampio spazio per intraprendere iniziative e fund-raising per affiancare le anemiche casse pubbliche.
La situazione è stata esacerbata negli anni dalla fuga di famiglie bianche e più agiate verso un numero crescente di scuole private (dal costo medio di circa 10mila dollari l’anno), un esodo di massa che ha fatto si che oggi nelle scuole pubbliche di Los Angeles il 70% degli studenti sono ispanici, il 15% neri, appena il 10% sono bianchi e 5% circa asiatici. Ovvero un sistema pubblico popolato da studenti poveri, moltissimi di recente immigrazione fra cui sono rappresentati più di 30 ceppi linguistici. Dalle elementari alle secondarie le scuole si trovano così ad affrontare un immane opera di socializzazione e integrazione di base, a partire dall’insegnamento dell’inglese.
I tentativi di rimediare ai macroscopici «scompensi anagrafici» risalgono ai tempi della Great Society di Kennedy e Johnson quando dopo il movimento per diritti civili, il governo federale cercò di integrare scuole segregate, un impresa di massiccia «ingegneria sociale» dagli intenti nobili quanto disastrosi i risultati. Il cosiddetto «busing» incontrò prevedibilmente la feroce opposizione dei «privilegiati» ma in definitiva anche quella degli «integrati» che venivano spediti a studiare lontano dai propri quartieri. L’integrazione «pilotata» oggi è stata in gran parte abbandonata e chi è obbligato o sceglie di rimanere nella scuola pubblica resta anche in balia di una burocrazia sorda e tentacolare, incapace di modificare schemi dannosi e inefficaci.
L’effetto è stato di stimolare le soluzioni «autogestite» non solo con le solite collette dei genitori per pulire gli edifici o comprare i computer, ma sotto forma del movimento delle Charter School, un fenomeno che negli ultimi anni è letteralmente dilagato, soprattutto in California. La «charter» sono scuole a statuto speciale finanziate dal provveditorato ma gestite in piena autonomia. Chiunque può presentare un progetto per una scuola indicando eventualmente un indirizzo specifico, a patto di garantire il programma di base. In 20 anni, le scuole charter in California sono passate da 31 a 1130. Alcune insegnano il programma tradizionale, senza grandi variazioni, sfruttando la maggiore autonomia amministrativa, altre modificano ampiamente i metodi di istruzione, dall’insegnamento in spagnolo, coreano o armeno a metodi didattici steineriani; tutte sono finanziate pubblicamente al 100% con numero chiuso e l’accesso regolato da un sistema di lotteria. Solo a Los Angeles ne operano attualmente ben 269, spesso si tratta di scuole piccole, ospitate in istituti riqualificati o in altri locali affittati per l’occasione, ex fabbriche o magazzini. Non sempre però: la più grande, la Granada Hills Charter High School, ha 4000 iscritti, si tratta di una scuola pubblica che ha deciso di «emanciparsi» dal distretto in seguito al voto della maggioranza degli insegnanti che ora viene amministrata direttamente dal preside.
Le charter hanno raccolto circa il 10% della popolazione studentesca, compresi molti che prima frequentavano istituti privati, come le scuole cattoliche, ottenendo risultati accademici nettamente superiori alle pubbliche ordinarie. Fra i fautori del sistema ci sono diversi mecenati, solitamente di provenienza imprenditoriale e spesso dall’industria digitale come Reed Hastings il fondatore della azienda di video streaming Netflix e Bill Gates che ha fatto della riforma delle scuole un impegno centrale della sua fondazione. Gates ha anche finanziato la produzione di Waiting For Superman, un bel documentario di Davis Guggenheim (Una scomoda verità) su un gruppo di famiglie che tentano la lotteria per iscrivere i propri figli a elementari charter e salvarsi dallo sfacelo delle scuole dei quartieri fatiscenti in cui abitano. Presidenti come Bill Clinton e Barack Obama hanno pubblicamente sostenuto le charter come alternative possibili e funzionanti rispetto al percorso tradizionale.
Allo stesso tempo, non sono mancate le polemiche, specialmente per il fatto che meno del 10% delle charter sono sindacalizzate e usano invece contratti flessibili per impiegare gli insegnanti.