Una certezza emerge, mentre si rincorrono le ultime notizie sulla strage di Orlando – su quante vittime siano state provocate da fuoco amico, se l’attentatore fosse davvero gay, il ruolo di un predicatore islamico ex marine; e mentre arriva la notizia di una nuova sparatoria con sequestro in Texas. Dovremmo smetterla di abusare della metafora animale, non umana, per connotare i crimini umani.

Perché continuare a chiamare il killer di Orlando «lupo solitario» per raccontare di una sua presunta affiliazione all’Isis? Che sarebbe abilmente nascosta e pronta ad entrare in azione, secondo una ben rodata interpretazione sulle «cellule dormienti», dopo essere stata silente e, all’occasione, pronta alla vendetta stragista per le presunte sconfitte sul campo mediorientale dello Stato islamico.

Il lupo è alla fine animale mansueto e socievole, uccide solo in stato di necessità, per difendersi e per fame. Ma se proprio vogliamo continuare nel gioco perverso del paragone animale, allora va detto che stavolta il vero «lupo», o iena o condor, della situazione è proprio Donald Trump, tutt’altro che solitario e scatenato alla caccia, in branchi ispiratori d’odio quanto famelici. Un Trump che non ha esitato a inveire contro gli islamici e a ricordare il suo programma forcaiolo, razzista e xenofobo nemmeno un minuto dopo la strage, facendo campagna elettorale mentre si contavano i morti, quando il silenzio commiserevole sarebbe stato il migliore dei giudizi.

Certo non poteva non commentare il presidente Obama, che è stato cauto, di basso profilo e soprattutto saggio. Ha scoperto di nuovo l’esistenza del «terrorismo domestico», denunciando la tragedia delle armi che a milioni giacciono nell’arsenale delle case americane, prodromo costante di una guerra civile strisciante, tutt’altro che immaginaria visto che fa migliaia di vittime l’anno.

Lì dove proprio Obama non può non avere la memoria lunga delle stragi dei suprematisti ariani. Da Oklaoma, al tiro al piccione sulle cliniche abortiste, alle stragi di neri, come la più recente di Charleston compiuta da un razzista bianco esattamente un anno fa. Soprattutto non ha usato la parola «islamico» per denunciare il nuovo orrore e per accusare il killer.

Saggiamente certo, ma anche con un retro pensiero «diplomatico».

Visto il legame profondo degli Stati uniti con paesi islamici decisivi per la leadership americana nel mondo, dall’Arabia saudita che evoca le responsabilità qaediste per l’11 Settembre 2001, fino all’Afghanistan sempre in guerra di cui è originario il cittadino americano Omar Mateen, killer di Orlando.

Non benissimo anche Hillary Clinton, ormai candidata in pectore del Partito democratico nonostante la giusta ostinazione politica di Bernie Sanders. Infatti, di fronte all’aggressività seminatrice di odio di Donald Trump, non ha trovato di meglio che raccontare anche lei la favola del «lupo solitario». Novello cappuccetto rosso, Hillary Clinton ha detto che Lei presidente estirperà «uno per uno i lupi solitari» e metterà fine all’Isis e alla sua propaganda.

Ma come farà, se basta una autoproclamazione ideologica in qualsiasi parte del mondo per affiliarsi? E se non basterà stavolta una tradizionale sconfitta sul campo di milizie del Califfo, in Iraq, Siria e Libia?

Il fatto è che la vera propaganda dell’Isis non è l’abile, ma ormai assai decifrabile, messaggeria jihadista sui siti internazionali. Ma la guerra. Quella guerra che ha seminato già troppo odio e che ha visto Hillary Clinton tante volte protagonista – «con vergogna», le ha ricordato Obama, per quella in Libia.

Quella guerra occidentale che ha distrutto e raso a zero tre Stati fondamentali per il Medio Oriente e l’equilibrio internazionale: L’Iraq, la Libia e la Siria. Senza queste guerre, non concluse e dalle quali fuggono a milioni, lo Stato islamico nemmeno esisterebbe. Sono quelle guerre la radice di ogni emulazione terrorista, frutto di disperazione identitaria radicalizzata solo in chiave religiosa, all’interno di società occidentali omologate ormai non sui principi di eguaglianza dichiarati sulla carta, ma sulle leggi di mercato.

Non è l’America di Spoon River quella che abbiamo davanti, che dovrebbe essere unita da un compianto doloroso. Ma un Paese diviso dall’odio. E quel che è peggio armato fino ai denti nel privato dei cuori e delle case: l’humus del terrorismo domestico denunciato da Obama. E purtroppo in procinto di fare nuove guerre.