Il rapporto Almalaurea 2015 sulla condizione occupazionale dei laureati non verrà mai letto dal ministro del lavoro Giuliano Poletti, ma afferma poche cose semplici ma dimenticate dai padri-padroni al governo: per difendersi sul mercato del lavoro non serve andare ai mercati generali a scaricare gratis la frutta d’estate, ma bisogna laurearsi. Questa realtà, in fondo elementare, è stata rimossa da anni di campagna populista: studiare non serve a niente perché è un costo sociale, con la cultura non si mangia, ragazzo choosy “va a lavurà che l’è mei”. Salvo il fatto che di lavoro ce n’è, anche per i laureati, ma è gratuito, sottopagato, insomma una schifezza tale da non mettere nemmeno nel sancta sanctorum dell’imprenditore di se stesso: il curriculum.

Il 17° rapporto Almalaurea, presentato ieri all’università Bicocca di Milano, racconta un’altra realtà, molto lontana dall’idea governativa di istruzione che fa rima con (auto)sfruttamento, apprendistato di bassa manovalanza e lavoro gratuito. La laurea è ancora una garanzia contro la disoccupazione. Sarà anche, molto spesso, un soprammobile che si dimentica per anni e si impolvera, ma è meglio conservarlo. Rispetto ai diplomati, i laureati sembrano essere in grado di difendersi meglio dal ricatto permanente del mercato nell’arco della vita lavorativa e, in particolare nelle fasi congiunturali negative come quelle attuali. A cinque anni dal conseguimento, l’occupazione, indipendentemente dal tipo di laurea, è prossima al 90%, anche se risulta in calo rispetto al passato.

E’ facile ritenere che in gran parte sia precaria e che sia governato dalla vecchia ricetta: mangia questa minestra o salta dalla finestra. Ma si ritiene che la laurea, sul medio.lungo periodo, sia utile per difendersi in un contesto degenerato, violento, povero. E’ la tesi già battuta nei precedenti rapporti Almalaurea che viene riassunta dal direttore di Alma Laurea andrea Cammelli: “Occorre che il nostro paese torni ad investire in un settore così strategico come quello dell’istruzione e delle politiche per il diritto allo studio. La carenza di risorse destinate al sistema universitario costituisce un pesante ostacolo allo sviluppo del capitale umano su cui dovrà sempre più poggiarsi l’economia nazionale”.

Un appello, che risuona da tempo, e non solo da Almalaurea ma che non sembra essere ascoltato nelle stanze del ministero dell’Economia. E si capisce,  visto che tira la corda su tutto. Meno comprensibile che non lo sia a Palazzo Chigi dove vige la litania sull’istruzione-futuro-del-paese. Renzi, perché ci sia un futuro bisogna rifinanziare gli 8,4 miliardi di euro tagliati alla scuola e l’1,1 miliardi tagliati all’università dalla Troika Berlusconi-Tremonti-Gelmini. Altre strade non ce ne sono. E infatti non vengono percorse.

Almalaurea parla di un triste paese dove i fondi destinati all’istruzione sono i più bassi dei paesi Ocse, gli insegnanti i meno pagati d’Europa, e i ricercatori i più precari del mondo. E assomigliano ai loro fratelli, e alle sorelle, minori che vanno a scuola, si sono iscritti all’università. O a nessuna delle due. Sono proletari alla ricerca di una corvée, qualunque sia, ma che sia pagata. L’Italia è agli ultimi posti per quota di laureati, sia tra i 55/64enni sia tra i 25/34/enni. Su 100 giovani di età 25-34 anni, i laureati costituiscono solo il 22%; la media europea a 21 Paesi è pari al 37%, la media Ocse è pari al 39%.

L’indagine mostra una sostanziale tenuta del tasso di occupazione ad un anno dal titolo. Per i laureati triennali (considerando che il 54% continua con la laurea magistrale) è pari al 66%. Per i laureati magistrali biennali è 70%, mentre quelli magistrali a ciclo unico (architettura, farmacia, giurisprudenza, medicina, veterinaria) è del 49%. Stage ed esperienze di studio all’estero durante gli studi possono aumentare del 20% le possibilità di trovare un lavoro. Nel lungo periodo cresce anche la stabilità del lavoro (contratti a tempo indeterminato o attività autonome vere e proprie): a cinque anni riguarda oltre il 73% dei laureati triennali e quasi il 78% dei magistrali a ciclo unico (era il 78% per entrambi i collettivi nella rilevazione precedente) e il 70% tra i magistrali biennali (era il 73% lo scorso anno). L’occupazione è significativamente superiore alla media, a cinque anni dalla laurea, per i laureati delle professioni sanitarie (97%) e di ingegneria (95%); seguono i gruppi chimico-farmaceutico e economico-statistico (90%).

Al di sotto della media si posizionano i laureati dei gruppi insegnamento (80%), geo-biologico (79%), giuridico (77%) e letterario (75%). Per quanto riguarda le retribuzioni ad un anno risultano in lieve aumento e superano, seppure di poco, i 1.000 euro netti mensili: 1.013 per il primo livello, 1.065 per i magistrali, 1.024 per i magistrali a ciclo unico. A cinque anni la retribuzione media passa dai 1750 euro per un ingegnere ai 1200 di un insegnante.

A soffrire maggiormente degli effetti negativi della crisi che si sono inevitabilmente riversati anche sui laureati di più lunga data, sono soprattutto, afferma il rapporto, le fasce storicamente più deboli del mercato del lavoro: donne e residenti al Sud. Se si prendono in esame i soli laureati magistrali biennali,a cinque anni dal conseguimento del titolo le differenze di genere sono pari a 7 punti percentuali: lavorano 78 donne e 85 uomini su cento. Inoltre a parità di condizioni, gli uomini guadagnano in media 167 euro netti mensili in più delle loro colleghe.

Tra Nord e Sud il differenziale occupazionale è di 11,5 punti percentuali: lavora l’86% dei laureati residenti al Nord, mentre al Sud l’occupazione coinvolge il 75% dei laureati. Il rapporto infine ci tiene a precisare che «il progresso del Paese passa anche attraverso una maggiore trasparenza del mercato del lavoro e il miglioramento dell’incontro tra domanda e offerta di capitale umano». E riporta le conclusioni di uno studio che rileva come «i meccanismi di gestione delle risorse umane, in particolare la scarsa meritocrazia e trasparenza di quelli di reclutamento, abbiano giocato un ruolo centrale nel determinare l’insoddisfacente performance del sistema produttivo italiano negli ultimi 20 anni».

Il rapporto AlmaLaurea ha coinvolto quasi 490 mila laureati di 65 università italiane e registra “timidi segnali di inversione di tendenza nel mercato del lavoro che fanno sperare in un 2015 più roseo – ha detto Francesco Ferrante, componente del Comitato scientifico di AlmaLaurea – Lo scenario presente e futuro, nonostante i miglioramenti registrati, resta tuttavia estremamente incerto».

***

Leggi: Il rapporto Almalaurea 2014 (La furia dei cervelli)