Sfileranno stamattina a Roma nel corteo sull’«emergenza cultura» contro il lavoro gratis nei beni culturali, mentre centinaia di volontari sono stati reclutati per effettuare visite guidate ad hoc e offrire servizi di assistenza in centinaia di luoghi d’arte e musei aperti per la quinta edizione dell’«Open House Roma». La contraddizione è stata descritta dagli attivisti della campagna «Mi riconosci? Sono un professionista dei beni culturali» sulla pagina facebook dedicata e restituisce la condizione degli storici dell’arte, degli archeologi e degli archivisti, dei restauratori o delle guide turistiche di professione oggi in Italia: iper-formati, già selezionati, sono precari e senza tutele. Se vogliono lavorare nel loro campo, devono rispondere ai bandi ministeriali che cercano volontari o stagisti con rimborso da 433 euro al mese. E poi? La ruota gira e si ricomincia a correre. Gratis, alla ricerca del prossimo bando.

Cosa c’è di anomalo in un’attività volontaria prestata da studenti, professori, architetti, artisti, liberi professionisti, pensionati, amanti della cultura in genere? L’uso di forza-lavoro non pagata nell’esercizio di competenze specifiche, in sostituzione del personale insufficiente a causa del blocco del turn-over nella pubblica amministrazione e per di più bloccato sul posto di lavoro dalla riforma Fornero. Oggi, per tenere aperti a Roma i Fori o il Colosseo, è necessario – e non facoltativo – il ricorso ai volontari che svolgono un lavoro a tutti gli effetti. A gennaio, la campagna «Mi riconosci» ha denunciato ad esempio i bandi del progetto «Archeologia in cammino» che metterà al lavoro 60 volontari nell’ambito del progetto di servizio civile previsto per il Giubileo: 114 è la quota stabilita per fornire assistenza alle «fasce deboli della popolazione» o «orientamento nei luoghi sacri, nei musei, nelle biblioteche, nei siti archeologici e altre strutture di rilevanza artistica presenti nella Capitale» si legge nel bando.

Funzioni di assistenza si mescolano così con quelle delle guide turistiche, degli storici dell’arte, degli archeologi, dei traduttori e degli uffici stampa. La confusione tra un impegno lavorativo che richiede specializzazione e saperi e quello etico del volontario che richiede disponibilità e passione è ricorrente nei «grandi eventi» commerciali come l’Expo a Milano o in quelli religiosi come il Giubileo. Nel caso dell’Expo ai volontari è stato detto di farlo per la «visibilità» e per mettere le due settimane di turno nel «curriculum». Nel caso dei Beni culturali non è certo che il volontariato serva a fare curriculum, ma può aiutare il Mibact – e gli enti locali – a tenere aperti musei o biblioteche che altrimenti resterebbero chiusi. In tutti i casi si fa appello ai valori morali, al desiderio di donarsi agli altri o al presunto valore di una formazione continua per supplire – o sostituire – il personale specializzato. «Lavorare gratis al Viminale è un’opportunità per fare esperienza» ha detto il ministro dell’Interno Alfano commentando un bando gratuito per ufficio stampa. Più di qualsiasi Jobs Act, questa frase coglie l’aria che tira.