Il libero arbitrio è una di quelle questioni in grado di mettere in evidenza lo statuto proprio della filosofia, intesa come disciplina che si incarica di riflettere con metodo su questioni che non prevedono porti definitivi. Ma il cui viaggio terribile e avventuroso per mari sempre aperti può fare chiarezza sul percorso di tutti noi.
Ne parliamo con Mario De Caro, docente all’Università Roma Tre e alla Tufts University, già autore de Il Libero arbitrio (Laterza 2011) e in questi giorni coautore, insieme a Massimo Mori ed Emidio Spinelli, di Libero arbitrio. Storia di una controversia filosofica, Carocci, pp. 392, euro 24).

Secondo lei, è sufficiente affermare come faceva il filosofo Epitteto nelle sue «Diatribe», che libero è chi vive come vuole, chi non può essere costretto né ostacolato né forzato, i cui impulsi sono privi di impedimenti, i cui desideri raggiungono il segno e le avversioni non incorrono in ciò da cui rifuggono?
Il buon Epitteto dà una buona definizione del libero arbitrio ossia della capacità di autodeterminarsi decidendo di agire in un modo o nell’altro, quando ci si presentano possibilità alternative di azione. Il libero arbitrio è condizione necessaria perché qualcuno sia responsabile per ciò che fa: chi compia un’azione in stato ipnotico, oppure perché non ha alternative o è obbligato, dunque non può essere considerato responsabile per quell’azione. Il problema fondamentale, però, è che non è chiaro se il libero arbitrio sia reale – e se dunque sia corretta la nostra idea che noi siamo responsabili per molte delle azioni che compiamo.

C’è poi la questione della metafisica. Se esiste un Dio onnipotente, o comunque un ordine superiore, l’uomo può conservare una ragionevole libertà? Sant’Agostino pensava di sì, mentre Lutero parlava di un «servo arbitrio»…
Dal punto di vista teologico, la questione del libero arbitrio è una delle più dibattute da millenni. La ragione è che qualunque posizione si prenda, nascono grandi problemi. Se si nega il libero arbitrio, ci si deve chiedere perché Dio abbia creato gli esseri umani: molti di loro andranno all’inferno per l’eternità, vai a capire il perché. Ma anche chi sostiene il libero arbitrio ha il problema di spiegare perché Dio non intervenga a impedire che quel dono venga usato male o malissimo. Perché Dio non ha fatto nulla per impedire l’Olocausto? Sostenere, come fanno vari teologi, che Dio non può toglierci un dono che ci ha dato è del tutto insoddisfacente. Sarebbe come dire che un genitore non deve togliere al figlio la mazza da baseball che gli ha regalato, pure se il pargolo la usa per picchiare gli amici. Insomma, la questione teologica è complicata assai. Ma anche per chi abbia una visione laica del mondo, il problema del libero arbitrio è una delle questioni filosofiche più complesse.

Per buona parte del Novecento la questione del libero arbitrio ha suscitato scarso interesse in ambito filosofico. Come se lo spiega?
Ciò è accaduto per varie ragioni. Innanzitutto, la maggior parte delle esperienze filosofiche del Novecento ha rifiutato la metafisica tradizionale nel suo complesso, compreso il problema del libero arbitrio, che è stato centrale nella metafisica tradizionale (si pensi a Tommaso d’Aquino, Cartesio, Hume, Leibniz o Kant). Molto importante è stata poi la cosiddetta «svolta linguistica» che nel Novecento ha attributo centralità filosofica al linguaggio (si pensi a Wittgenstein, alla filosofia analitica, a Heidegger, alla semiotica). In quella prospettiva, questioni come il rapporto linguaggio-mondo o linguaggio-verità presero il sopravvento sui classici temi «ontologici», come la questione del libero arbitrio.

I risultati più importanti, negli ultimi anni, sono arrivati dalla psicologia cognitiva e dalle neuroscienze. Gli esperimenti di Libet, neurofisiologo di Stanford, ci dicono che l’atto di volontà ha comunque delle cause inconsce, e quindi non si può mai parlare propriamente di libertà.
Gli esperimenti di Libet sono assai popolari e molti (soprattutto scienziati in pensione) pensano che mostrino che il libero arbitrio sia un’illusione. Ma non è così. Questi esperimenti identificano la decisione da parte del soggetto con il momento in cui il soggetto stesso avverte l’impulso ad agire.
In realtà, però, il darsi di un impulso non è né condizione necessaria né condizione sufficiente di un’azione libera. Non è condizione necessaria (e dunque possono esserci azioni volontarie senza l’impulso a compierle) perché spesso quando compiamo volontariamente un’azione non avvertiamo alcun impulso a compierla: si pensi a quando, guidando, sterziamo per curvare o a quando, mangiando portiamo una posata verso la bocca o, ancora, a quando pronunciamo intenzionalmente una frase durante una normale conversazione. Inoltre, la presenza dell’impulso ad agire non è nemmeno condizione sufficiente per agire volontariamente: spesso, un tale impulso precede azioni non volontarie, come quando ci viene da starnutire o sbadigliamo di fronte a un interlocutore poco brillante. Insomma: questi esperimenti non parlano veramente di azioni libere.

Sarà quindi la filosofia oppure la scienza (o magari lo faranno insieme) a dirimere la secolare questione dell’esistenza di un libero arbitrio per l’uomo? Ammesso che si possa dirimere…
Ben detto: ammesso che la questione del libero arbitrio si possa dirimere! Personalmente, non credo che le questioni filosofiche genuine possano ricevere una risposta come quella che si dà a un problema scientifico o, meno ancora, a un problema matematico.
Nondimeno la discussione sul tema del libero arbitrio può certamente progredire, come è già accaduto nel corso dei secoli. Oggi su questo tema abbiamo le idee molto più chiare di quanto non le avessero Epicuro e gli stoici, San Tommaso e Cartesio, Leibniz, Hume e Kant. Quel che è sicuro è che, continuare a progredire nella nostra comprensione della questione, dobbiamo attingere sia alla filosofia sia alla scienza. Cosa che, purtroppo, non succede abbastanza spesso.