Come un eroe di cappa e spada alla Dumas, Diego Armando Maradona ritorna trent’anni dopo a raccontare la sua indimenticabile apoteosi, la conquista della Coppa del mondo 1986 nel libro La mano di Dio. Messico ’86.Storia della mia vittoria più grande, scritto con l’aiuto del giornalista Daniel Arcucci.

Quelle storiche sette partite e tutto il contorno, i campi d’allenamento e le riunioni con lo staff tecnico, lo scetticismo dei tifosi e il crescere progressivo della Seleccion, pronta a seguire il suo capitano. Naturalmente c’è l’evocazione integrale della «partita delle partite«, il quarto di finale contro l’Inghilterra, quei 90 minuti che condensano il coraggio, l’insolenza e la bravura del pibe de oro. «Saltai come una rana, e fu la cosa che Shilton non si aspettava. Lui pensava, almeno credo, che gli sarei andato addosso. Arrivai più in alto di Shilton perché fisicamente ero come una bestia.

Il pallone era partito fortissimo.Lo colpii con il pugno ma schizò via come se l’avessi colpito con il sinistro invece che con la testa. Arrivò in fondo alla rete senza problemi. Fu un gesto fulmineo, tac, e non avrebbero mai potuto vederlo… Abboccarono tutti, persino Shilton che non sapeva più neanche dove si trovava». Ne aveva segnati tanti così a Villa Fiorito e stavolta la mano di Dio, l’intervento sovrannaturale, annebbiò arbitro e giocatori. Ma fu l’altra rete, quello che viene spesso definito come il gol più bello di sempre, quando Maradona conquista la palla a centrocampo e saltando avversari come birilli in uno slalom travolgente finendo col depositare la palla in rete.

Il telecronista (e scrittore) Victor Hugo Morales ha reso immortale quella discesa con le sue parole infiammate in diretta («genio! genio! un aquilone cosmico in campo») e in questo contributo scritto descrive «la luce forte alla velocità di una cometa che avanza laggiù nel catino dell’Atzeca, un Dio dietro un Dio, affermerà Borges, altri vedranno il depositario della speranza di milioni di persone. La ferita della guerra delle Malvine-Falklands era ancora troppo fresca e così quel misto di retorica bellica, orgoglio, passione, audacia trasuda tra le pagine «Questa non la possiamo perdere, chiaro ragazzi? Qui bisogna lasciare la vita per quelli che l’hanno lasciata laggiù, sapete bene dove, siamo undici contro undici, vinceremo capito?».

Forse il carattere eccessivo del sinistro dei due mondi, da Villa Fiorito a Dubai, gli avrà alienato tante simpatie ma la sua battaglia perenne contro le mafie del calcio, da Havelange a Grondona e Blatter, e dalla parte dei calciatori è stata suggellata anche dalla partita della pace con Pelè, all’inizio di Euro 2016. Ora tocca alla pulce, al suo erede designato, a Leo Messi, coinvolto pure in una vicenda di evasione fiscale, seguire i suoi consigli (al termine del libro)per provare ad alzare la Coppa del Mondo tra due anni in Russia.