Nel ventre della balena, sotto la linea di galleggiamento, dove Valentina Longo, ha vissuto come hostess di crociera, il lavoro assume la sua forma più brutale, tanto che la mediazione contrattuale è una pura formalità, pensata esclusivamente per garantire all’azienda forza lavoro disponibile, just in time, senza costi aggiuntivi al nudo salario. Lei stessa racconta come inizia la sua ricerca (Lusso low cost. Vita in crociera sopra e sotto la linea di galleggiamento, Jaca Book, pp. 240, euro 16): «scendiamo nel suo ufficio, mi porge il contratto – un prestampato standard – e mi dice “ma sì, tanto il contratto è solo una formalità”». Lo sciopero è vietato, il sindacato è assente, ferie e straordinari sono compresi nel salario mensile prestabilito, non esistono contributi pensionistici e in caso di malattia superiore a cinque giorni è prevista la sospensione del contratto e, a discrezione, anche il rimpatrio del marittimo. Durata del lavoro e periodo di imbarco sono indicativi: la compagnia ha un controllo assoluto sulla vita dei lavoratori.
Già a partire dal reclutamento, il mondo-nave si configura come un mercato del lavoro globale estremamente frammentato al suo interno, attraversato da confini nazionali, di classe e di sesso che vengono scomposti e ricomposti all’interno della nave: filippini, malgasci, italiani, brasiliani, rumeni sono tra i gruppi più numerosi. La stessa nave è materialmente il frutto di processi di produzione e di legislazione transnazionali. La «bandiera ombra» issata a poppa sottrae la nave ai confini geografici, facendone uno Stato globale: «la nave è una fabbrica che può essere dislocata».

Le gerarchie della finzione

L’organizzazione del lavoro in crociera è caratterizzata da una pluralità di figure lavorative ed è fissata da una gerarchia verticale ferrea e da una orizzontale più subdola che crea un’economia sommersa a bordo. In cima alla gerarchia troviamo i lavoratori dei paesi tardo-industriali, ma per tutti, ad eccezione del capitano e degli ufficiali vige un’assoluta incertezza sia dell’impiego sia del salario, che è in gran parte «esternalizzato», ovvero pagato dalla mance dei passeggeri. In questo modo, la compagnia offre un servizio ai passeggeri che di fatto è pagato non dai biglietti all inclusive, ma dall’esborso extra che i lavoratori si guadagnano attraverso un lavoro extra: ovvero, quello di mantenere intatta e «autentica» la finzione della crociera, offrendo ai passeggeri ciò per cui hanno più o meno consapevolmente pagato, una realtà ideale, un immaginario esotico, una «bolla ambientale» dove tutto sembra gratuito, anche la felicità.

Il denaro a bordo scompare dietro la tessera magnetica, il feticismo delle merci può realizzarsi senza turbamenti di sorta. L’unica cittadinanza che conta sulla nave è quella del consumo. Il passeggero è il più delle volte qualcuno che investe un periodo di non lavoro in un’esperienza da cui vorrebbe essere risarcito da una vita stressante o da cui pretende di ottenere lo status sociale che gli viene negato sulla terra ferma. La crociera diventa così un simbolo pieno di simboli.

Riti di autenticazione

L’interessante ricerca di Longo, che ha vissuto il mondo-nave anche sopra la linea di galleggiamento, da passeggera, è una fotografia attenta dello spettacolo crocieristico, e dei suoi angoli nascosti, ma è anche una narrazione a più voci, quella dei lavoratori, marittimi e alberghieri, e quella dei passeggeri. La nave è un palcoscenico che include le quinte dove si mette in scena il lavoro come rito di autenticazione, il che significa che il lavoro vivo, nella sua forma più classica di produzione fordista, deve sparire: sforzo, fatica e stress non possono mai trapelare dalle divise, dai volti, dai corpi. La divisa sostituisce i corpi, neutralizza i conflitti. Longo definisce perciò la nave un’istituzione totale, dove anche la libera espressione, la vita privata, la personalità dei lavoratori è segregata, riservata ai luoghi angusti in cui vive l’equipaggio.

Camerieri, hostess, cleaner, animatrici, cabinisti formano caste diverse nella stessa «classe internazionale» e sono definiti dalla loro prestazione, dal loro grado, dall’adeguatezza corporea ed emotiva al ruolo che interpretano: per il consumatore-passeggero il lavoro delle hostess è un feticcio, quello degli animatori un’attrazione, quello dei cleaner – donne e uomini di «un terzo mondo» che sulla nave prende nuova vita – è addirittura immateriale, invisibile, disincarnato. Il personale di bordo sperimenta un’alienazione a un doppio livello: è forza-lavoro e mezzo di produzione da cui è interiormente alienato. Il corpo della forza-lavoro, le sue capacità relazionali, la sua recita sono il prezzo del suo salario e sono la fonte di una schiavitù che appare priva di un unico padrone.
Questo tipo di lavoro «emotivo» produce certamente meccanismi di autodisciplinamento, di interiorizzazione della logica aziendale, ma emerge dai diari di bordo dei lavoratori raccolti dall’autrice, una sotterranea difesa, sebbene spesso individuale, della propria sfera non lavorativa: permane un conflitto, che non può essere sottovalutato, tra la finzione di un completo annullamento della vita privata e gli spazi di libertà che i lavoratori riescono a sottrarre alla vita lavorativa nella sua totalizzante invadenza, lavorando ad esempio «a risparmio energetico». Per le donne questa sottrazione ha un doppio significato perché comporta la gestione di un piano di rapporti simbolici, specie con i superiori, ai limiti della violenza fisica.

Squarci nella divisa

Indipendentemente dall’orientamento sessuale, dalla nazionalità e dalla posizione gerarchica contegno e disponibilità sessuale delle donne al lavoro sono tanto gradite, quanto richieste. Qualsiasi ribellione a questa norma mette in questione l’intera organizzazione a bordo e ha quindi un potenziale dirompente.

Il mondo-nave è luogo di un’informalità imposta dall’alto, o scavata dal basso dai lavoratori, che si scontra con la formalità di rigide norme di disciplinamento. Il confine tra formale e informale è però labile. Nella realtà parallela della nave può essere facile dimenticare che se la vita dei lavoratori è nelle mani di un’agenzia che ha sede alle Isole Vergini, sempre pronta a sostituirli, la vita della nave e di tutti i suoi passeggeri è nelle mani di quella forza comune che si pretende di addomesticare. L’unico potere di contrattazione, l’unico modo per riappropriarsi della propria forza (comune) passa perciò, necessariamente, attraverso uno squarcio nella divisa e un riconoscimento tra chi è, letteralmente, sulla stessa barca.