«Siamo contro la pena di morte e lo siamo ancora di più in questo caso perchè l’esecuzione di una condanna a morte deve essere ratificata dal presidente dell’Autorità nazionale palestinese che invece si rifiuta di farlo». Khalil Shahin spiega la posizione della sua organizzazione, il Centro palestinese per i diritti umani, sul tema al centro da alcuni giorni del dibattito a Gaza: l’esecuzione di 13 persone, condannate a morte per omicidio e reati comuni. Una esecuzione che le famiglie delle vittime vorrebbero pubblica, «per dare un esempio a tutti». Il governo di Hamas sino ad oggi non ha accolto la richiesta ma potrebbe farlo presto, sull’onda dell’emozione popolare per una serie di delitti che hanno scosso Gaza in questi ultimi mesi. Il procuratore generale Ismail Jaber da parte sua ha già dato pieno sostegno all’esecuzione pubblica.

Le 13 condanne a morte hanno fatto passare, in secondo piano, i raid aerei compiuti mercoledì notte dall’aviazione israeliana contro postazioni di Hamas nei pressi del campo profughi di al Bureij, dopo il lancio di un razzo da Gaza verso il sud di Israele. L’escalation non ha fatto danni su entrambi i lati del confine, tuttavia ha confermato la fragilità della situazione. Appena qualche giorno fa si era temuto l’inizio di una nuova offensiva israeliana, simile a quella del 2014, in conseguenza delle incursioni delle forze armate dello Stato ebraico nella Striscia, alla ricerca di gallerie sotterranee scavate dall’ala militare di Hamas. Il movimento islamico aveva reagito proclamando di essere pronto a respingere le forze israeliane entrate a Gaza. Poi la situazione si è calmata. La popolazione di Gaza comunque sa che una nuova guerra è alle porte.

La disoccupazione, la mancanza di acqua potabile e di energia elettrica e il blocco israelo-egiziano di Gaza restano i temi principali per i palestinesi. Ora discute anche dell’aumento della criminalità nella Striscia, dovuto all’aggravarsi delle condizioni economiche. Alla crescita del numero dei furti, in particolare nelle abitazioni, si è abbinata quella degli omicidi, che in molti casi avvengono proprio durante le rapine. La popolazione reclama l’uso del pugno di ferro e per le forze di sicurezza di Hamas la lotta al crimine ormai è la priorità. Il leader a Gaza del movimento islamico, Ismail Haniyeh, sa che su questo tema si gioca una parte del consenso popolare ed appare incline ad applicare la pena di morte anche per gli omicidi compiuti da criminali comuni. Due giorni fa i parlamentari di Hamas a Gaza hanno votato a favore dell’esecuzione dei 13 condannati, anche in mancanza della ratifica del presidente dell’Anp, ossia del rivale Abu Mazen che è anche leader di Fatah. «E’ stato un voto illegittimo – spiega Khalil Shahin – lo Statuto e il codice di procedura penale parlano in modo inequivocabile. Una condanna a morte deve essere ratificata sempre dal presidente. E Hamas sino ad oggi ha proclamato di essere a Gaza parte dell’Autorità nazionale palestinese». Per questo, aggiunge Shahin, «consideriamo queste condanne a morte delle esecuzioni extragiudiziali, una violazione della legalità palestinese».

Hamas, che ha già applicato a Gaza la pena di morte per il reato di spionaggio, non riconosce l’autorità di Abu Mazen che, sostiene, resta in carica nonostante il suo mandato sia scaduto nel 2009. Sulle esecuzioni in pubblico però non ha ancora preso una decisione definitiva, per merito anche delle prese di posizione di alcune importanti ong internazionali per la tutela dei diritti umani.