Se trattati in maniera accorta e adeguata, i luoghi comuni possono rivelare, si sa, senso profondo e verità a prima vista poco identificabili. E’ questo un dato acquisito, ma è permesso stupirsi, e rallegrarsi, quando il teatro, rispondendo in pieno alla sua vocazione, riesce a darne prova, e anche un innegabile divertimento. Succede con Todi is a small town in the center of Italy, come suonerebbe l’incipit di un qualsiasi depliant turistico, e che è invece il titolo di uno spettacolo scritto e diretto da Livia Ferracchiati, coadiuvata per la drammaturgia da Greta Mortelliti e sul palcoscenico da cinque giovani attori della nidiata che lo stabile dell’Umbria va meritoriamente coltivando e facendo conoscere. Non a caso lo spettacolo, dopo le recite in una delle due sale del Caos, compirà un giro dei molti teatri del circuito umbro.

Tutto nasce da una ricerca effettuata nel giugno scorso su un centinaio di abitanti di Todi: che risulta uno dei luoghi più amati al mondo dai propri cittadini, che mai se ne andrebbero altrove. Ma poi, procedendo nelle domande, si scopre un sentimento maggioritario più conservatore che «progressista»; ma se per due terzi quel campione si dichiara, almeno nelle intenzioni, favorevole all’accoglienza nei confronto dei rifugiati, la stessa corposa maggioranza si schiera contro i diritti civili di recente istituzione, contro la libera identità di genere, e riserva agli omosessuali solo scherno e disprezzo. La quasi totalità teme poi il giudizio degli «altri» contro cui si sente in dovere di lottare, dichiarandone il peso come limitazione alla propria libertà. Partendo da questo grumo di contradditorie «certezze», Livia Ferracchiati costruisce il suo spettacolo mandandone in scena un campione di coetanei (all’incirca trentenni), antichi compagni di scuola, colti nei loro incontri/scontri sui comportamenti più normali e quotidiani: il sesso e i rapporti sentimentali, il lavoro e la sua rarefazione, la prestanza fisica e la vanità del vestire, l’importanza della musica e la sua fallace memoria.

Un giovanotto e tre giovanotte energici e simpatici, cui la forte cadenza umbra, fuori da ogni bozzettismo, offre un fondale di naturalezza e insieme di attrazione. Per le cose anche «sgradevoli» che dalle loro parole escono, e la comicità perfino «involontaria» che sanno suscitare, pur senza mai cadere nella volgarità spicciola e strumentale.

È molto interessante anzi l’approfondimento antropologico che si viene costruendo tra il patrimonio di tradizioni e certezze (e pregiudizi e preconcetti e ipocrisie) che quella cultura tra il contadino e il turistico (Todi città d’arte etc) ha sedimentato, e i comportamenti e le voglie e le aspirazioni che la «modernità», col suo conseguente cambiamento dei costumi, ha innervato e scosso, come una faglia tellurica che da queste parti spesso sperimentano. Ma è l’intera provincia italiana a trovarsi rappresentata in questi vivaci 70 minuti. Iniziando dall’avvio dell’intervistatore/regista e continuando nella fisicità e nei suoni dei quattro protagonisti. Lontano dalla sociologia spicciola della tv, ma ben radicata nel nostro vivere quotidiano.

Una «small town» lontana da quella famosa di Thornton Wilder, anche perché a parlare lì erano i defunti, mentre qui chiaramente nessuno vuole rinunciare a vivere.