Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, le volontarie italiane scomparse alla fine di luglio nell’area di Aleppo, in Siria, sarebbero nelle mani dell’Isis. Lo ha scritto sul Guardian, nell’edizione americana, il corrispondente dal Medio oriente del quotidiano Martin Chulov.

Nel suo articolo Chulov riporta che nelle mani dell’esercito islamico ci sarebbero due italiane, un danese e un giapponese. Sentito via mail, ha confermato al manifesto che, «nonostante la sua fonte non abbia fatto i nomi», dovrebbe trattarsi proprio delle «due ragazze italiane rapite recentemente in Siria». La notizia rimbalza proprio nei giorni in cui le voci sulla presunta liberazione, poi non confermata, avevano acceso una speranza nel cuore dei genitori delle due volontarie. Parenti che ieri, alle agenzie di stampa, hanno detto di essere «fiduciosi» per una conclusione positiva di tutta la storia.

E sempre dai media, ma questa volta arabi, ieri è arrivata una notizia secondo la quale le due ragazze starebbero «bene». Lo ha scritto al-Quds al-Arabi, quotidiano panarabo edito a Londra, in un articolo da Idlib, nel nordovest della Siria. L’articolo era datato 19 agosto e citava una fonte della «sicurezza» del gruppo di ribelli islamici «Ahrar Sham» nella periferia di Idlib, secondo cui sarebbe stato catturato «uno dei rapitori delle ragazze italiane» ed è «possibile che nelle prossime ore» il gruppo liberi le ragazze. Secondo la fonte del giornale panarabo, uno dei rapitori «è stato arrestato vicino alla cittadina di Sarmada, al confine con la Turchia». Sarebbe in corso una trattativa «con le autorità italiane con contatti telefonici per ottenere un riscatto». «Le due ragazze erano sotto la protezione di una brigata dell’opposizione siriana e i rapitori erano due membri di quella stessa brigata che proteggeva le ragazze», secondo la fonte citata dal quotidiano.

Del resto, come sottolineato nell’articolo del Guardian, quello dei rapimenti è ormai un business non da poco per le finanze dello «Stato Islamico». Negli ultimi sei mesi almeno dieci ostaggi, tra cui tre cittadini francesi e due spagnoli, sono stati liberati «dopo lunghe trattative con i rapitori, che chiedevano un riscatto».

Nel frattempo emergono nuovi particolari sulla macabra esecuzione del reporter americano James Foley, rivelata al mondo due giorni fa attraverso un video. Proprio le immagini del filmato, hanno attivato i centri anti terrorismo di mezzo mondo; in particolare quelli americani e inglesi sono concentrati nel tentativo di risalire all’identità, del killer di Foley. Stando alle informazioni trapelate, si tratterebbe infatti di un britannico, presumibilmente di Londra. Secondo quanto rivelato da un ostaggio che ha ottenuto la liberazione, nelle fila dell’Isis ci sarebbero almeno quattro britannici dediti alla gestione dei rapiti e dei riscatti.

I quattro sarebbero chiamati «i Beatles», a causa della loro provenienza e farebbero parte di un esercito di occidentali ben più ampio, giunto a dare manforte al sogno del Califfato dell’Isis. Secondo i servizi segreti britannici sarebbero almeno 500 gli inglesi che avrebbero sposato il progetto di conquista degli islamisti (a cui dovrebbero aggiungersi almeno 700 francesi e 500 belgi). Proprio l’utilizzo del boia inglese, secondo gli esperti, sarebbe l’ennesimo gesto propagandistico dell’Isis in funzione anti occidentale, con un chiaro intento – anche – di reclutare gli europei alla propria causa.

E ieri il New York Times e il Wall Street Journal, hanno raccontato di come i rapitori avessero in precedenza negoziato per il riscatto di Foley, chiedendo cento milioni di dollari per la sua liberazione (e la Casa Bianca non avrebbe trattato). Il Washington Post, invece, citando fonti dell’amministrazione, ha rivelato che un commando americano aveva provato a liberare il reporter. Il tentativo, in cui sono state coinvolte diverse decine di militari americani, costituisce la prima operazione di terra degli Stati Uniti in Siria, da quando è iniziata la guerra civile.

Il presidente Obama «ha autorizzato all’inizio di questa estate un’operazione per cercare di salvare cittadini americani detenuti dall’Isis», ha spiegato uno dei funzionari. Il tentativo non ha avuto successo perché «gli ostaggi non erano sul luogo dell’operazione» e perché, forse, erano stati spostati in precedenza in un altro posto.