Manifestazione complessa Umbria Jazz e di non facile valutazione con mutazioni del pubblico (e suo invecchiamento), trasformazioni «social», intreccio fra livelli di fruizione. I numeri, presentati nella conferenza stampa di chiusura, confermerebbero ««il trend, mediamente alto, delle ultime edizioni»»: 230 eventi, 450 musicisti, 400.000 presenze stimate, 32.000 spettatori paganti (25 mila all’arena S.Giuliana), un incasso di 1,2 milioni di euro. Gli elementi più significativi appaiono riguardare la crescita quasi esponenziale della rassegna come «evento social», con due milioni di utenti raggiunti su Facebook. Il jazz è da tempo sbarcato in rete ma è tutto da studiare l’interfacciarsi digitale di una musica nata e cresciuta nell’interplay e nel contatto diretto palco/platea. Positivi l’utilizzo come sede stabile di concerti della Galleria Nazionale dell’Umbria e della chiesa di S.Pietro, la presenza di alcuni artisti emergenti (Kamasi Washington), l’originalità del duo Ramin Bahrami/Danilo Re e del progetto Altissima Luce di Paolo Fresu. Gli unici sold-out all’arena – dato su cui riflettere – Mika ed Ezio Bosso.

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Fra gli appuntamenti delle ultime giornate sicuramente la riorchestrazione – al conservatorio F.Morlacchi – di Such Swet Thunder, la partitura di Duke Ellington e Billy Strayhorn dedicata nel 1957 a Shakespeare, curata da Mario Raja con la voce recitante di Anna Bonaiuto e l’Orchestra del Conservatorio. Raja spiega come ha lavorato sugli arrangiamenti: «Ellington usava i sax spesso come fossero degli archi ed il trombone come fosse una voce. Ho giocato su questi aspetti usando gli archi di rinforzo ai sax, ovviamente cambiando la disposizione delle voci. A volte ho aggiunto delle cose mie, ma sempre sottintese. Va considerato che l’operazione è nata come partnership tra Umbria Jazz e tutto il conservatorio, quindi ho coinvolto tutte le classi ed il comparto classico, innanzitutto gli archi». A Marta Raviglia, docente e voce solista, si è chiesto il senso attuale di questa rilettura: «Il valore ha a che fare con la bellezza della musica, che è sconvolgente. Ci sono opere di Ellington che hanno avuto più fortuna, come i Concerti Sacri ma Such Sweet Thunder non viene molto eseguita; la musica è però splendida. Il valore è di diffusione della bellezza e della conoscenza, perché è musica assolutamente fruibile, estremamente comunicativa, coinvolgente ed attualissima anche oggi».

Ancora Ellington, con il sold-out al teatro Pavone per il concerto di Fabrizio Bosso intitolato Duke (come l’omonimo cd pubblicato lo scorso inverno per i tipi della Verve). L’album aveva un notevole spessore ma l’esecuzione dal vivo è risultata ancor più viva e brillante: Paolo Silvestri ha arrangiato (e diretto) con sapienza una decina di pezzi per un tentetto che al quartetto del trombettista torinese (gli ottimi Julian Mazzariello, Luca Alemanno, Nicola Angelucci) aggiunge tre ottoni (Fernando Brusco, Claudio e Mario Corvini) e tre ance (Gianni Oddi, Michele Polga e Marco Guidolotti). Si va da Caravan a Perdido, da Solitude a Jeep Blues alternando tempi, mood e impasti in funzione del solismo enciclopedico, virtuoso e costantemente ispirato di Fabrizio Bosso (e di tutti i partner). Prima di lanciarsi in un paio di bis il solista ha ricordato il drammatico incidente ferroviario in terra di Puglia ed i tragici fatti di Nizza.

«Solidarietà con la Francia» e «La musica contro i fabbricanti di morte» recitano i maxi-schermi dell’arena S. Giuliana che, nonostante la temperatura autunnale, si va via via riempiendo verso le 21 per l’attesa reunion degli Steps Ahead. Il leader e vibrafonista Mike Maineri, la pianista Eliane Elias (felice autrice di svariati brani), il tenorista Donny McCslin, il contrabbassista Marc Johnson ed il batterista Billy Kilson non fanno il verso al passato.

I brani proposti hanno un’articolata struttura e si impreziosiscono con i soli; la Elias unisce la fusion con la musica popular brasileira ed è la qualità della proposta sonora, più che la mitizzazione degli anni ‘80, a prevalere. Molta atmosfera, un pizzico di glamour ma idee compositive di respiro corto per l’Afrodeezia tour del bassista Marcus Miller in quintetto. La sua musica non decolla mai, qualche spunto funky ma niente a che vedere con il collaudato ed ispirato «mestiere» degli Steps Ahead.