Il deserto non è quello che normalmente si crede, deserto è tutto quanto sia privo di uomini, è l’aridità che si trova anche nelle folle ma, per alcuni, c’è anche qualcosa che brilla nel silenzio della sabbia, una metafisica di colline marziane, fertili di introspettiva riflessione. «Volevo essere libero», ha dichiarato Iggy Pop pochi giorni fa «e per essere libero avevo bisogno di dimenticare. Per dimenticare avevo bisogno di musica». Dopo anni di furori metropolitani infatti, e di discutibili saliscendi musicali fra cover francesi e infatuazioni jazz, Iggy Pop sembra aver ritrovato, proprio nell’arsura di Joshua Tree in California, un’oasi florida di suggestioni, un fandango di ruvida energia soltanto intravisto nel suo disco precedente, Ready to Die, che riuniva dopo anni i suoi Stooges nel 2013.

Con la complicità di Josh Homme infatti, leader dei QOTSA e membro degli Eagles of Death Metal, lo scorso anno l’iguana del Michigan si è chiusa nel Rancho De La Luna per registrare il suo Post Pop Depression, da oggi nei negozi fisici e «digitali», con la partecipazione del chitarrista dei QOTSA Dean Fertita e di Matt Helders, batterista degli Arctic Monkeys. Un disco autofinanziato e scritto insieme a Homme, con brani orchestrati magistralmente nelle trame chitarristiche, che «sfruttano» con parsimonia il dna da crooner che per anni Iggy si è negato e che, nel gioco di echi e specchi fra la sua scabra sensualità e l’ipnotica chitarra di Josh Homme, filtra le sue nove tracce fra suoni contemporanei e ricordi proto-punk.

Ma, nonostante l’immancabile buona dose di «lust for life» e alcune giocose bizzarrie musicali, lo xilofono di American Valhalla che ricorda il Neo Geo realizzato con Ryuichi Sakamoto o certe sfumature morriconiane in Vulture, la voce baritonale di Iggy sembra sempre corteggiare la morte, come in un duetto mozartiano, con frasi lapidarie («La mia ombra sta camminando di fronte a me») e un fantasma, quello del David Bowie berlinese di Station to Station, che aleggia nei suoni di Sunday e del primo singolo Gardenia. Quasi un canto del cigno, basta leggere le recenti altre dichiarazioni di Iggy, ma, per fortuna, le metamorfosi dell’iguana/araba fenice sembrano non esaurirsi mai.

Da pochi giorni infatti è uscito anche Leaves of Grass, dove il trip-hop freddo e lancinante del due berlinese Tarwater si amalgama all’elettronica concettuale di Alva Noto per un prato musicale sul quale si stendono le rime di Walt Whitman e delle sue foglie d’erba, scandite dalla voce gotica di Iggy oramai sempre più vicina, per afflizione e ombrosità, a quella imperiosa delle registrazioni di William S. Burroughs.