Del più atteso dibattito nella storia delle presidenziali statunitensi, quasi niente interesserà i posteri. Niente di paragonabile ai duelli Kennedy-Nixon o Reagan-Carter. Neppure una frase. Al massimo si ricorderà il record degli spettatori. Sarà però indimenticabile il vecchio The Donald che tira su col naso, ha un brutto colorito, suda, non fa che bere acqua, si altera incongruamente più di quanto normalmente non faccia. Sniffato cocaina? Certo, nell’immediato, è chiaro che un evento così sembra avere chissà quale portata e chissà quali conseguenze.

E non può che essere osservato, analizzato, soppesato fin nei minimi dettagli. Eppure resta difficile considerarlo un punto di svolta decisivo nella corsa verso la Casa Bianca. Se dobbiamo ridurlo a termini puramente sportivi, com’è inevitabile che si faccia, si può concordare con l’idea prevalente che l’esito sia da considerare un successo per Hillary. Che non implica necessariamente una sconfitta per Trump, tanto meno una sconfitta determinante ai fini del voto di novembre. Che Hillary abbia vinto il primo dei tre dibattiti televisivi, lo dicono tutti o quasi. Ed era ampiamente prevedibile. Ma che cosa significa? Che conseguenze avrà, questa sua vittoria, sul prosieguo della corsa presidenziale? Produrrà consensi, specie nel campo ancora vasto degli indecisi, convincerà gli elettori democratici più riluttanti? I sondaggi ci diranno presto qualcosa in proposito. Ma soprattutto: l’esito del duello influenzerà, e come, i comportamenti dei due candidati nelle prossime settimane, nei prossimi due dibattiti? In particolare, Trump, se si sentirà lui lo sconfitto, come – e se – rimodellerà la sua strategia?

C’è chi, tra i suoi attuali strateghi e i suoi familiari, lo vorrà più presidential, cioè meno impulsivo, meno approssimativo e più preparato sui dossier, e c’è chi – egli stesso innanzitutto, il migliore stratega di Trump è Trump – lo spingerà a incrementare decisamente proprio il suo stile senza inibizioni, istrionico, scomposto, viscerale. Lo stile che gli ha consentito di arrivare dove è arrivato.
The Donald, nella sua performance, è apparso in bilico tra queste due «maschere», tra quella del would-be-president, del vorrei-essere-presidente, e quella sua solita del macho senza freni.

Questa oscillazione gli ha nuociuto, lo ha reso incerto e sulla difensiva, e così ha deluso sia la platea da convincere, di coloro che potrebbero pure votarlo ma in fondo ne temono l’irruenza, e la platea dei suoi aficionados che adorano le sue sparate, le sue evidenti bugie, la sua misoginia tanto quanto i suoi avversari le detestano e le vivono come un incubo, al pensiero che uno così potrebbe finire nello studio ovale.

È facile prevedere che da questo momento in poi prevarrà la seconda «maschera». Perché gli è più congeniale. Perché gli funziona meglio. L’altra, quella dell’adulto, della persona seria e affidabile, proprio non è in grado di indossarla, gli pesa come un’armatura che l’impaccia. Rimanere ancora in bilico tra le due «maschere» sarebbe per lui la scelta peggiore. Quindi c’è da attendersi un ulteriore incattivimento del personaggio.

«Stavo per dire qualcosa di estremamente pesante contro Hillary, la sua famiglia, ma mi sono detto: non posso, proprio non posso farlo, sarebbe fuori posto». Chiara l’allusione all’affaire Lewinski. Dopo il dibattito ha detto che si è tenuto anche perché in platea c’era Chelsea ma che al prossimo «colpirà più duro». Ammesso che ci siano i prossimi due dibattiti previsti (più quello che vedrà impegnati i due vice).

Donald Trump minaccia di non prendervi parte, se il format ricalcherà quello di lunedì. In effetti, il faccia a faccia, come si è visto, penalizza un istrione a corto di argomenti e allergico a ragionamenti argomentati. Trump se n’è reso conto, se la prende con la Cnn, ma ha capito che un altro paio di performance come quella alla Hofstra University gli saranno fatali.

Al dibattito i duellanti sono arrivati su un piano di sostanziale parità nei sondaggi. La corsa vera inizia adesso. I due contendenti, con questo confronto, hanno definito le loro figure. Hillary consolida la reputazione ampiamente conosciuta e riconosciuta di aspirante alla massima carica americana, preparata, tenace e pugnace; The Donald – col suo oscillare, di cui abbiamo detto, tra due «maschere» – conferma l’immagine di un candidato forte sul terreno dello scontro proprio di una campagna elettorale ma ampiamente e inquietantemente enigmatico per quanto concerne la sua capacità di esercitare, se eletto, i poteri presidenziali. Potrebbe correggere il profilo, come si è detto, ma anche se lo facesse, quanto si è visto lunedì notte non può essere rimosso dalle menti degli spettatori. La sua impreparazione, per usare un termine gentile, a ricoprire la carica di presidente è apparsa evidente e non potrà essere cancellata, specie se sceglierà definitivamente la «maschera» del macho senza se e senza ma.

La scelta, per gli elettori, adesso è chiara.