Mentre a Ginevra va di scena la pantomima del dialogo, Medici Senza Frontiere riporta del decesso di altre 16 persone a Madaya: morti di fame che si aggiungono alle 30 vittime della fine del 2015, prima dell’ingresso di (pochi) aiuti umanitari nella città assediata, all’esterno dall’esercito governativo e all’interno dai miliziani islamisti di opposizione.

L’interessamento del mondo, a orologeria, si è spento presto: serviva ad indebolire Damasco in vista del negoziato. Per questo altre realtà, molto simili a Madaya, non sono finite sotto gli stessi riflettori: è il caso di Deir Ezzor, dove si muore di fame nelle zone controllate dall’Isis, e dei villaggi sciiti di Kefraya e Fu’a. Nelle due comunità della provincia di Idlib 12.500 civili sono prigionieri, oltre che di al-Nusra, di Ahrar al-Sham e del Jaysh al-Fatah, gruppi sostenuti da Arabia saudita e Turchia e membri dell’Hnc (Alto Comitato per i Negoziati).

Eppure a bloccare la partecipazione dell’Hnc al negoziato è proprio la persistenza degli assedi governativi nelle città controllate dalle milizie anti-Assad, uno spettro ampio che va da salafiti e islamisti – Jaysh al-Islam e Ahrar al-Sham – ai laici delle unità dell’Esercito Libero Siriano, sempre meno presenti sul terreno.

Venerdì l’inviato Onu de Mistura ha dato il via ufficiale, ma a metà, alla conferenza di pace, incontrando la sola delegazione del governo di Damasco. In serata è arrivato l’annuncio: le opposizioni arriveranno a Ginevra oggi, ma non per sedersi subito al tavolo. Incontreranno le Nazioni Unite per testarne la serietà e per verificare quella di Damasco nel rispettare gli obblighi verso i civili. Ovvero, vogliono nero su bianco la rassicurazione sulla fine di raid russi e assedi.

Non erano mancate le pressioni internazionali. A partire dal segretario di Stato Usa Kerry che sa che in Svizzera il presidente Obama si gioca una buona fetta di credibilità: dopo anni di politica mediorientale stentata, la sua amministrazione ha segnato un’importante vittoria con l’accordo sul nucleare iraniano e vorrebbe chiudere il mandato con qualche risultato concreto anche in Siria. Pressioni arrivano anche dal Palazzo di Vetro: de Mistura ha chiesto più volte alle opposizioni di aderire senza precondizioni. Per l’Onu l’importante è partire.

Ma è una visione limitata e quindi fragile: per uscire dalla guerra civile con un governo di transizione in grado di combattere lo Stato Islamico e avviare la ricostruzione, non basta sedersi ad un tavolo. Non basta un negoziato per il negoziato, un dialogo fine a se stesso utile a spolverare le coscienze e a mantenere in vita gli stessi equilibri bellici. In un angolo resta la lotta all’Isis, quasi dimenticata, tanto che il segretario alla Difesa Usa Carter che a dicembre scriveva ai partner europei, tra cui l’Italia, per chiedere maggiore impegno.

Per questo è folle l’esclusione dei kurdi di Rojava dal tavolo svizzero. Una delegazione del Pyd, Partito dell’Unione Democratica, aveva raggiunto Ginevra nella speranza di partecipare, nonostante il mancato invito. Ma ieri, definitivamente esclusi, hanno deciso di andarsene: «Sì, ce ne andiamo – ha detto un membro della delegazione, in anonimato – Non siamo stati invitati. Non rispetteremo le decisioni che usciranno da Ginevra, compreso un accordo di cessate il fuoco». Un’altra indicazione della volatilità di un dialogo che non tiene conto di una delle forze armate e politiche più efficaci, in grado di assumere il controllo di quasi tutto il confine con la Turchia. Che, proprio per questo, ne ha chiesto l’estromissione.

Ankara continua a giocare un ruolo destabilizzatore nel risiko mediorientale. Ieri ha convocato l’ambasciatore russo dopo aver accusato Mosca di aver violato nuovamente il proprio spazio aereo. Secondo il Ministero degli Esteri turco, venerdì pomeriggio un Su-34 russo sarebbe entrato nonostante gli avvertimenti. A novembre un evento simile aveva portato all’abbattimento di un jet di Mosca e alla rottura dei rapporti diplomatici ed economici tra Turchia e Russia. Nello stesso periodo la Turchia ha violato lo spazio aereo greco, senza conseguenze, oltre 2mila volte nel 2014, 1.400 nel 2015 e già almeno tre nel 2016.

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