È un genere che in Italia ha séguito ma sembra restare sempre ai margini. E lei è una delle cantanti metal più stimate della scena. Parlare con Cristina Scabbia dell’ultimo album Delirium (Century Media) dei Lacuna Coil, registrato negli studi BRX di Milano, significa anche capire i perché dei limiti italiani nei confronti del grande successo in terra americana della band.

Se alcune volte sono stati considerati troppo soft, ora tornano con un disco più classico, duro, che nasce dai racconti di un sanatorio del nord Italia, in cui la follia e la malattia, sono il contesto destabilizzante per la narrazione di una saga: «In passato abbiamo visitato dei manicomi abbandonati nei dintorni di Milano e siamo tornati con la memoria a ciò che avevamo percepito in quelle circostanze. Stavamo lavorando alla canzone Delirium e da quelle atmosfere abbiamo preso ispirazione per riversarle nella musica e nei testi. Il disco va ascoltato nella sua interezza perché è una sorta di viaggio nella pazzia, non solo intesa come condizione mentale ma anche più in generale, nelle ossessioni quotidiane che spesso possono sembrare normali e del caos generale provocato dalle notizie di ogni giorno».

Si percepisce una sorta di ricerca personale, qualcosa che coincide con l’intimità: «Nel disco abbiamo portato molte esperienze personali, è una tematica che conosciamo bene, alcuni di noi si sono trovati a vivere delle esperienze difficili come la depressione o problemi di famiglia legati alla psichiatria. L’obiettivo è stato riprodurre questo senso di pesantezza: per noi è stato molto importante esprimere questo concetto con la serietà e con il rispetto più assoluti, non volevamo un disco modaiolo e superficiale».

A differenza degli ultimi album, il suono (sempre curatissimo negli arrangiamenti) è meno nordamericano e più europeo, con profonde convergenze dark/gotico che può per esempio richiamare un certo metal norvegese: «I suoni che abbiamo scelto e il tipo di produzione sono orientati verso la modernità, eppure ci sono degli elementi che possono ricordare i Lacuna Coil del passato. Il growl è molto più intenso, è il disco forse il più heavy che abbiamo mai fatto ma c’è anche elettronica e rock».

Con quel coro di bambini Take me home è inquietante e rassicurante allo stesso tempo… «In realtà in quel coro sono le nostre voci! Quella canzone è un viaggio mentale, un treno che guida verso posti sconosciuti ma che, si spera, un giorno ci riporti a casa. Ecco, la casa di cui si parla siamo noi stessi».

I Lacuna Coil da poco hanno suonato nelle Filippine e in Cina, trascorrono più tempo negli Usa che in Italia. Il metal di solito ha degli ascoltatori fidelizzati eppure la scena in Italia non è mai decollata. Ci sono tanti siti e forum ma sembra sempre un circolo ristretto. «Credo che certe volte sia proprio il troppo amore del metallaro più ostico, il suo voler proteggere la sua musica dal resto del mondo, a chiudere un po’. Se un gruppo cerca di fare qualcosa di nuovo aggiungendo degli elementi non prettamente della scena, il metallaro più conservatore si chiude perché lo vede come un tradimento. Il troppo amore è una forma di ossessione e si potrebbe bene adattare al concetto di Delirium».

Il metal è uno di quei generi che ha col supporto fisico (vinile, cd) ancora un particolare attaccamento: «Ne parlavamo oggi. I metallari sono fra i maggiori fruitori dei supporti fisici ed è quindi difficile abituarli a comprare file. Per l’Inghilterra abbiamo perfino prodotto un’edizione speciale in musicassetta. Credo che il supporto fisico in qualche maniera ci sarà sempre, magari più orientato verso la limited edition, qualcosa cioè che lo renda unico». Il metal, oggettivamente, è un ambiente soprattutto maschile ma Cristina è considerata un’icona: «Sono tanti anni che faccio parte di questa scena e all’inizio di donne eravamo poche. Io non ho mai percepito questa differenza fra me e i ragazzi, mi sono sempre vista come la cantante di un gruppo. Sono un po’ maschiaccio, sono abituata a stare con tanti uomini, ho due fratelli e non l’ho mai vista una sfida in più da superare».