Il nuovo film di Alain Guiraudie in competizione a Cannes sembra fatto per essere proibito. Ora, lo scandalo, al giorno d’oggi, non è poca cosa. Sono lontani i tempi in cui ogni film di Pasolini staccava più querele che biglietti. Cosa si può dire o mostrare che non sia stato detto? Il ruolo dell’arte è ancora quello di scompaginare i pregiudizi e di épater le bourgeois? Non è forse questo a sua volta un pregiudizio da cui l’arte ci dovrebbe liberare ?

La risposta di Guiraudie è un consiglio: Rester Vertical. Risposta geniale perché semplice nella forma che il regista francese ha dato sullo schermo al proprio concetto d’amore. Ma che diventa complessa quando cerchiamo di tradurla in parole. Si può cominciare a suggerirne la geografia. Prendendo come guida il titolo, che sembra univoco ma non lo è. «Rimanere verticali» ha almeno tre significati: uno sessuale, uno estetico, uno morale.

Come l’eroe di Teorema di Pasolini, il protagonista di Guiraudie non viene da nessun luogo: spunta all’improvviso, in macchina, nel bel mezzo di una strada di campagna e si ferma nei pressi di una casa; di fronte ad essa un ragazzo, un riccetto che sembra uscito da Ragazzi di vita, sta in piedi come chi aspetta un cliente. Le cose non vanno come si potrebbe immaginare. C’è qualche avance da parte dell’uomo, una vaga proposta di un provino cinematografico. Non vuoi fare il cinema ? No, il Riccetto non vuole.

13resterverticalalainguiraudie

Ma cosa vuole quest’uomo ? La domanda è esplicitata da una pastorella che il nostro incontra tra i monti. Lei, che di nome fa Maria, è una Vergine con l’aria sempre imbronciata. Lui le dice che vuole vedere dei lupi. Che il nostro sia una sorta di San Francesco? Certo a Guiraudie piace inviare i suoi eroi nei boschi, nei pressi dei laghi, in mezzo alla natura, a nulla fare se non a esprimere sensualmente il proprio essere. Che cos’è quest’essere ? L’uomo di Guiraudie è per certo un essere desiderante. Ecco che la pastorella passa una mano sul sesso del nostro eroe. I due si amano. Prima tra i monti.

Poco dopo in una camera da letto, nel casale del padre di lei. La prima «verticalità» è così: banale, ordinaria. «Naturale» direbbero al family day. Ma, contrariamente all’uomo del teorema pasoliniano, quello di Guiraudie non è sicuro di sé. Non porta un desiderio agli altri, ma lo cerca. Il suo è percorso non di conversione ma di scoperta. E dovrà passare attraverso altri desideri prima di poter riconoscersi nel proprio.

Ecco che comincia a disegnarsi un cammino. Rester Vertical è un’esperienza simile a quella di entrare in una chiesa, alzare la testa, rimanere dritti a guardare uno di quegli affreschi in cui sono raccontate, attraverso delle vignette, delle storie tratte dalla bibbia o dai vangeli. Guiraudie ha immaginato non più di quattro o cinque fondali. Alcuni li abbiamo già incontrati. La strada di campagna. Il casolare sulle montagne. A questi bisogna aggiungere un sottopassaggio in una città di provincia, e un fiume in una strana foresta pluviale, in cui Guiraudie fa rivivere il paesaggio mentale ed edipico de La morte corre sul fiume.

La maggior parte del film gioca a tornare e ritornare in questi luoghi. Perché una tale economia? Per rispondere proviamo ad aprire una piccola parentesi. L’eroe del film è un regista. Sta scrivendo una sceneggiatura. O meglio, fa finta di scriverla. Finalmente, obbligato a lavorare, butta giù qualche pagina delle quali il produttore si dice entusiasta, ma che lui stesso trova orrende. È chiaro che, in questa figura di autore che fugge dalla propria scrittura, c’è l’autoritratto di un cineasta che non ama la parola. La parola chiude gli orizzonti, fissa dei ruoli – madre, figlia, amante, padre, suocero… – Che il film invece non smette di scombinare e ricombinare, producendo degli intrecci certo estremi, come il suocero che si ritrova nella parte dell’amante, ma non più audaci di altri scambi di sesso e di identità che il cinema, con la scusa della commedia, si è da sempre divertito a proporre al pubblico di massa.

Con questo non vogliamo dire che il film finirà per mettere d’accordo militanti LGBT e cattolici. Del resto, si sa che il giudizio di gusto è indipendente dal giudizio morale. Ma è proprio sul terreno scivoloso dove i concetti di bene, di bello e di buono si toccano che Guiraudie certa di restare in piedi. La scena «madre», o la chiave di volta del film, dove il protagonista aiuta a morire un vecchio, è sontuosa, erotica e esilarante al tempo stesso. Gli uomini sono stesi sul letto. Il vecchio beve una specie di cicuta mentre l’altro comincia a masturbarlo. Il vecchio si gira da un lato e tende le natiche, mentre il nostro lo penetra, al ritmo di una musica lisergica. La scena è più dolce, più bella, nei dettagli plastici dei corpi, che quella in cui l’eroe, all’inizio del film, faceva l’amore con la pastorella. E se non bastasse questo a far trionfare l’immagine, Guiraudie si diverte a fare la la prova del nove. Qualche scena dopo, l’eroe legge su un giornale: «pratica l’eutanasia sodomizzando un vecchio sotto lo sguardo del figlioletto». Ecco come la parola dissacra un’immagine che pure sembrava intoccabile.

È chiaro anche che il desiderio fa paura. È un’immagine che si proietta davanti a sé e che non è già il sé ma un altro. Rester vertical è una lezione di perversione, non ci dice cosa desiderare ma come: insegnando al proprio eroe, e a noi con lui, a restare dritto davanti al proprio desiderio, o, per restare con Guiraudie, davanti al proprio lupo.