Un visto obbligatorio per i cittadini statunitensi che intendano entrare in Venezuela. Il presidente Nicolas Maduro reagisce così alle minacce del governo Usa che ha promesso «di torcere il braccio» a Caracas per invertire il passo del socialismo bolivariano. «Chi viene da noi in pace, sarà sempre il benvenuto, ma non così chi ha calpestato i diritti umani bombardando la Siria, l’Iraq e il popolo vietnamita», ha detto Maduro. In cima alla lista degli indesiderati, c’è l’ex presidente George W. Bush, seguito da l’ex vicepresidente Dick Cheney e dall’ex direttore della Cia, George Tenet. E ancora, il senatore democratico Bob Menéndez, eletto nel New Jersey, il senatore repubblicano Marco Rubio, il deputato repubblicano Mario Díaz Balart e la super pasdaran della lotta al «castro-madurismo», Ileana RosLehtinen, eletta in Florida.

Gli Stati uniti – ha aggiunto Maduro – «non possono trasformarsi in un governo mondiale, altrimenti scateneranno presto una rivolta mondiale». Prevista anche la riduzione dei funzionari Usa che rimangono in Venezuela dopo la rottura delle relazioni fra i due paesi: «Gli Stati uniti hanno 100 funzionari, noi a Washington ne abbiamo 17. Bisogna ripristinare un principio di uguaglianza fra gli stati e di reciprocità», ha detto ancora Maduro. Poi, ha respinto la furibonda campagna mediatica esplosa contro il suo governo dopo la scoperta di un tentato golpe e l’arresto del sindaco della Gran Caracas, Antonio Ledezma. Quest’ultimo non è stato propriamente un campione di garantismo e di democrazia, come hanno ricordato i parenti delle vittime del Caracazo, che hanno perso i propri cari sotto il piombo della polizia agli ordini dell’allora governatore Ledezma, il 27 febbraio del 1989. Le misure decise dal Venezuela entreranno in vigore dopo la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale. I sanzionati hanno risposto in twitter con insulti e risate. E l’incaricato d’affari Usa è andato a colloquio con la ministra degli esteri Delcy Rodriguez.

Durante l’imponente manifestazione chavista di sabato, il presidente venezuelano ha anche annunciato l’arresto di «diversi cittadini statunitensi coinvolti in attività cospirative, fra i quali un pilota che effettuava operazioni di reclutamento». Gli arresti sarebbero avvenuti nel Tachira, uno stato di frontiera con la Colombia. A San Cristobal, la capitale, sono ripartite le proteste violente contro il governo che già l’anno scorso, dal 12 febbraio a maggio, avevano provocato 43 morti e oltre 800 feriti. Per riattivare la campagna denominata «la salida» (la cacciata di Maduro dal governo), l’opposizione oltranzista ha nuovamente chiamato le piazze alla rivolta. Ci ha rimesso un giovanissimo studente di opposizione, ucciso negli scontri da un poliziotto, che è stato arrestato.

L’opposizione ha marciato nelle strade di San Cristobal, tornando a chiedere la caduta del governo e l’intervento degli Stati uniti. Intanto, bande di incappucciati, per ora isolati, hanno ripreso a seminare il panico in alcuni quartieri agiati della capitale e in altre zone del paese. Nello stato Portuguesa hanno tentato di incendiare il municipio, ma sono stati fermati dalla popolazione.

L’allerta resta però massima, all’approssimarsi degli eventi per ricordare i due anni dalla morte di Hugo Chavez (il 5 marzo). Movimenti e partiti di sinistra, provenienti da ogni parte del mondo, si sono dati appuntamento a Caracas per sostenere il socialismo bolivariano. Oggi, la ministra Rodriguez interverrà a Ginevra al Consiglio dei diritti umani: il Venezuela è entrato a far parte dell’organismo come 47mo membro, votato a stragrande maggioranza l’anno scorso. Nel suo intervento di ieri, il suo omologo cubano, Bruno Rodriguez, ha denunciato le sanzioni e gli attacchi unilaterali rivolti dagli Usa al Venezuela, smentendo così le voci secondo le quali l’Avana potrebbe sacrificare l’alleanza con Caracas sull’altare del «disgelo» con gli Stati uniti.