“Vorrei vedere i fatti: affinché le parole del ministro Poletti abbiano fondamento, chiediamo di cancellare dalla delega la parte in cui si parla di intervenire sulle prestazioni previdenziali”. Al presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, non bastano le rassicurazioni del ministro del Lavoro sulle pensioni di reversibilità.

Finché non cambieranno i testi, non possiamo stare tranquilli.

Si tratta semplicemente, come noi chiederemo quando la delega arriverà in Commissione, di cancellare dall’articolo 1, comma 1, lettera B, le seguenti parole: “nonché di altre prestazioni anche di natura previdenziale”. Fatto questo, allora sì, saremo assolutamente tranquilli. Anche perché, faccio notare, nella parte tecnica del provvedimento si precisa che le principali “prestazioni di natura assistenziale ovvero di natura previdenziale ma comunque sottoposte alla prova dei mezzi sono: assegno sociale, pensione di reversibilità, integrazione al minimo, maggiorazione sociale del minimo, assegno per il nucleo con tre o più figli minori”. Quindi è evidente che nelle intenzioni c’è di agire anche sulle pensioni di reversibilità: se c’è questo equivoco, si deve dissipare.

È un nodo che non si deve toccare per niente, secondo voi?

Noi siamo disponibili a una razionalizzazione delle pensioni di reversibilità, ma vogliamo farlo nell’ambito del sistema previdenziale, e non confondendo assistenza e previdenza. In Commissione stiamo infatti esaminando un disegno di legge presentato da Luigi Bobba, che migliora il sistema, prevedendo l’innalzamento delle percentuali per le fasce più deboli. Ma appunto, discutiamo di miglioramenti, e non di tagli.

Per il resto, il sistema disegnato dal governo per la parte assistenziale, con un primo sostegno per i più poveri, è per voi sufficiente?

Credo che il provvedimento sia positivo, perché è la prima volta che in Italia si interviene su questo tema, e stanziando risorse fresche. L’importante è che non si scardini il sistema previdenziale: che non può essere, come è accaduto in passato, la vacca da mungere quando c’è bisogno: mi pare che con il governo Monti abbiamo già dato.

Il 2016, secondo l’impegno preso dal premier Renzi, dovrebbe essere l’anno in cui finalmente si introdurrà la flessibilità nel sistema pensionistico, in modo da rimediare agli eccessi della riforma Fornero. Ma è un dossier che il governo sta già affrontando o tutto tace?

Il governo per ora non ha dato segni di voler lavorare su questo dossier. Il presidente del consiglio l’anno scorso ha usato un argomento preciso, che io condivido: aveva detto che la questione non sarebbe stata inserita nella Legge di stabilità perché sarebbe stato meglio fare un’operazione meditata e non affrettata, come era già purtroppo accaduto in passato. Io ho detto: bene, prendiamoci il tempo necessario per questa operazione. Anche per questo motivo ho espresso la mia avversità al fatto che ci sia anche solo un’ombra sulla delega sul contrasto alla povertà che possa riguardare la previdenza: anche perché poi sui decreti noi non avremo voce. Allora dico: affrontiamo il tema della razionalizzazione delle pensioni di reversibilità in un discorso a parte, e più generale, che riguardi anche flessibilità, esodati, ricongiunzioni, lavori usuranti. E soprattutto appuriamoci che “razionalizzazione” non significhi “taglio”.

Anche i sindacati si sono messi in allarme.

Sì, ed è positivo che abbiano sollecitato, con una lettera unitaria al premier e al ministro del Lavoro, un intervento sulla flessibilità, in coerenza con la loro piattaforma. C’è già una proposta incardinata in Commissione Lavoro, la 857, a mia firma. Si può partire da lì.

Proposta che anche Salvini si è detto disposto a votare.

L’attenzione per questo tema è altissima nel Paese. Perché non è una richiesta corporativa, solo per gli anziani: se si permette a chi lo desidera di anticipare l’uscita, si aprono le porte delle aziende ai giovani, e il Jobs Act potrà funzionare.